"VIAGGIATORE, NON C'E' UN SENTIERO.
I SENTIERI SI FANNO CAMMINANDO".

Antonio Machado, Poesias Completas

domenica 5 settembre 2010

PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE SECONDA.

(SEGUE)
Dunque, la mattina seguente sono li', puntuale, davanti al bar di Mr Coffee.
Dopo qualche minuto arrivano anche i due ricercatori, trascinando delle
grandi borse cariche di bottiglie d'acqua, pane ed altri viveri. Facciamo quattro
chiacchiere in attesa di Mr Coffee. Son brave persone, nulla da eccepire, ma
non posso negarvi che mantengo qualche riserva quanto a socializzazione con
gente che si diletta a studiar scarafaggi.
Comunque, e' gia' un po' che ce ne stiamo li' a parlare e l'amico Coffee non
si vede. Quando e' trascorso un buon lasso di tempo, la moglie, che ho
conosciuto la sera precedente, compare da una finestra e ci rivolge un
cenno come a dire "sta arrivando". Passa altro tempo. Intorno alle sette e
tre quarti, Mr Coffee finalmente si manifesta. Fa dei gran sbadigli, si
stiracchia e ci guarda con l'espressione di chi sta pensando "Son gia' qui? Era per
oggi? In che paese mi trovo?" o qualcosa del genere. Quindi, esordisce con un pezzo
forte del suo repertorio: "Facciamoci un caffe'".
Insomma, tra attesa, chiacchiere e lenta degustazione del caffe' - al quale
Mr Coffee accompagna le prime tre o quattro sigarette della mattinata - ci troviamo a partire con un paio d'ore di ritardo rispetto a quel che si era stabilito (verrebbe da pensare "chi ben comincia..."). Prendiamo dunque posto sullo
sgangheratissimo (come avrebbe potuto essere altrimenti) fuoristrada di Mr
Coffee. Composizione del team:
- in cabina di pilotaggio, al posto di guida, Mr Coffee: jeans sdruciti, maglietta dei Ramones, occhialoni da sole modello "Paura e delirio a Las Vegas" ed immancabile sigaretta in bocca;
- in mezzo (accanto al guidatore ci sono altri due posti a sedere), scienziato
svizzero: cappellino con scritta "I love Vietnam", camicia a quadretti colorati, pantaloncini verde militare da esploratore, sorriso ebete;
- sulla destra, Edo: lo conoscete, non mi soffermo sui particolari;
- nel retro (il fuoristrada ha solo tre posti, la parte posteriore e' un cassone aperto), tra zaini, borse e sacchi, scienziato ceco (per chi non avesse letto con attenzione il post precedente, ribadisco che ci vede benissimo): ampio camicione
verde multitasche, pantaloni Northsails palesemente taroccati, acne diffusa malgrado il superamento della fase adolescenziale risalga a parecchi anni addietro;
- sempre nel retro, cognato di Mr Coffee, un ragazzo laotiano che fungera' da
interprete con gli abitanti dei villaggi e che, cosa piuttosto rara da queste parti, parla anche un eccellente inglese: in definitiva, l'unico normale del gruppo.
La strada sino a Sekong, che in effetti e' in buone condizioni, fiancheggia lunghi tratti di foresta ed attraversa qualche raro, minuscolo, centro abitato. I bambini ci guardano passare. Dopo circa un'ora di viaggio ci fermiamo a comprare altra acqua ed a goderci un po' il panorama. Ne approfitto per domandare a Mr Coffee:
"Mr, senti, e' vero che e' cosi' complicato trovarla Nam Tok Katamtok; intendo, che
non e' segnalata ed occorre indovinare il sentiero giusto?".
"Ah, non saprei...".
"Come 'non saprei'... scusa Coffee, ma tu quante volte ci sei stato?".
"Io? Mai".
"Andiamo bene, ma tu non saresti la guida scusa?"
"Si', ma tranquillo, la troviamo, mio cognato ci sa arrivare (mi ha detto); magari giriamo un po' ma la troviamo".
"Se lo dici te. Permettimi un'ultima domanda... ma tu da quanto vivi a Paksong?".
"Due anni e mezzo".
"Due anni e mezzo? E non t'e' mai venuta la curiosita' di fare un salto a vederla la cascata?".
"Si', ma sai... E' che sono un tipo un po' pigro".
Qualche kilometro dopo Sekong raggiungiamo finalmente il bivio. La strada asfaltata prosegue dritta, verso Attapeu; lo sterrato sulla destra buca il muro della foresta. Il cognato di Mr Coffee fa un cenno con la testa: e' quella la via per Nam Tok Katamtok. Cosi', iniziamo a percorrere lo sterrato, tra gran sobbalzi e imprecazioni. Come per ogni "caccia al tesoro" che si rispetti, abbiamo anche noi le nostre tracce da seguire: occorre superare tre ponti; poco dopo il terzo ponte la strada dovrebbe cominciare a farsi ripida, dato che bisogna oltrepassare una collina prima di giungere al fantomatico sentiero; infine, il sentiero, angusto ed avvolto dalla boscaglia, dovrebbe intravvedersi sul lato sinistra della carreggiata. Procediamo ed ogni volta che ci imbattiamo in uno degli indizi, tutti insieme, come a confortarci l'un l'altro, esclamiamo a gran voce "ci siamo, giusto, avanti!". Eccolo: "first bridge, you see". Ci sono anche il secondo ed il terzo ponte. E la collina, il fuoristrada comincia a salire. Nel ridiscendere a valle abbiamo tutti lo
sguardo volto alla nostra sinistra (anche Mr Coffee, che sta guidando; il che
francamente mi suscita qualche apprensione), nel tentativo di individuare il
famigerato sentiero. Siam tutti cosi' seri e concentrati, silenziosi, come non
volessimo che un qualche nemico avvertisse la nostra presenza. Solo lo svizzero ogni tanto sibila "dovremmo esserci quasi, dovremmo esserci". Ci allontaniamo dalla collina e gia' comincia a serpeggiare il malumore in seno alla truppa, quando il giovane laotiano si mette a battere sul vetro ed indicare, appunto, alla propria sinistra. Il sentiero. Un sentiero, in effetti, c'e'. Che questo sentiero sia IL sentiero, vai poi a saperlo. Quel che e' certo e' che la cascata, da qui, non si vede. Coffee ha fermato il fuoristrada e dice "proviamo". Gira la chiave e spegne il rumorosissimo, affaticato, motore. E nel momento in cui il motore cessa finalmente di urlare, la udiamo. La voce, la voce di Nam Tok Katamtok. Possente, penetra nella foresta, attraversa il muro fitto della vegetazione, riempe l'aria, giunge sino alla strada, ci chiama. "Ci siamo".
Percorriamo a piedi il sentiero (per fortuna non c'e' stata pioggia e le sanguisughe dovrebbero starsene buone), seguendo la voce, che si fa sempre piu'
netta e viva. Il sentiero buio termina in una luminosa radura. E la radura e' come una grande terrazza, oltre la quale la terra precipita in una valle stretta e profonda. E sull'altro versante della valle, proprio di fronte a noi, Nam Tok Katamtok. Maestosa. L'acqua, se ne segui il percorso con gli occhi, sembra cadere cosi' lentamente, per poi spaccarsi contro le rocce. E poi altra acqua, ce ne stiamo li' a fare questo giochino visivo per un po'. Scattiamo un sacco di foto che non serviranno a niente, perche' ci son cose difficili da catturare, bisogna esserci. Ci mangiamo qualche manciata di rambutan, prima di rimetterci sulla via.
Completata la "fase uno" della missione, ora, come convenuto, si tratta di trovare alloggio per gli studia-blatte. A qualche kilometro dal sentiero per Nam Tok Katamtok, c'e' un primo villaggio; ma i due vogliono addentrarsi ancor piu' nei territori "selvaggi" a nord di Attappeu. Lo svizzero guarda in continuazione il proprio apparecchietto GPS, consulta un'agendina e dice "se potessimo andare ancora un po' ad est...". Dopo il villaggio e' piu' facile incontrare, di tanto in tanto, qualche passante, dato che ci sono delle coltivazioni nei paraggi. Ogni volta, Coffee ferma l'auto ed il cognato domanda se ci siano nei dintorni altri piccoli villaggi o anche solo qualcuno che possa avere una capanna per i due. Proseguiamo, verso est, lo svizzero ed il ceco confabulano tra loro. Ad un bivio, ci fermiamo nuovamente. Il cognato di Mr Coffee (povero ragazzo, un po' mi spiace ridurlo sempre e solo al ruolo di "cognato di Mr Coffee", ma davvero non ricordo come accidenti si chiamasse) parla con un contadino. Poi ci riferisce: "possiamo andare ancora un poco a est ma c'e' solo piu' la ex base dei coreani, la strada finisce li'". Lo svizzero
interviene giulivo: "andiamoci, potrebbe essere un buon posto per sistemarci".
Un "buon posto"? Ragazzi, e' proprio vero che tutto e' relativo; quando ci arriviamo, alla base dei coreani, a me pare semplicemente il posto piu' infelice della terra. Quella che definiscono "base", in realta' e' un ex cantiere per estrazioni minerarie (o almeno questo e' cio' che si dice) di proprieta' di una grande impresa sud coreana. Il cantiere e l'area dove vennero costruiti e tuttora si trovano i fabbricati per l'alloggiamento degli operai ed il ricovero delle attrezzature sono immensi. Malgrado il cantiere sia chiuso da molto tempo la zona e' recintata e sorvegliata da "guardiani" che vivono all'interno del campo. Tutto e’ in uno stato di desolante, inquietante, abbandono. I guardiani oziano su delle amache appese di fronte all’arruginito cancello d’ingresso. Rivolgo un’occhiata interrogativa allo svizzero ed al ceco e non riesco a trattenermi dal domandare “Davvero vorreste star qui?”. Lo svizzero mi risponde entusiasta “Oh si’, e’ grandioso!” e mi mostra il taccuino che non ha smesso di consultare da quando abbiamo oltrepassato il villaggio. Mi spiega che sull’agenda sono riportati gli appunti di un noto ricercatore (per quanto possa essere noto uno studia-blatte, s’intende) il quale, una decina d’anni orsono, si reco’ in queste stesse zone ed annoto’ gli estremi longitudolatitudinali dell’area in cui si trovano le rare specie che i nostri favoleggiano di studiare. Ebbene, GPS alla mano, gli estremi corrispondono esattamente al punto in cui ci troviamo ora, la “base dei coreani”. Adesso che lo so, un poco avverto l’emozione anch’io (n.d.r: sto scherzando eh).
Il cognate di Mr Coffee deve ripetere almeno quattro volte ai guardiani che stiamo cercando alloggio e che la base sarebbe perfetta. Non e’ che non capiscano; semplicemente, non riescono a capacitarsene. Uno dei guardiani mi fissa con l’espressione di chi vorrebbe domandare “perche’ lo fai?”. Inarco le
sopracciglia ed indico con rapidi movimenti del capo alla mia sinistra, in
drirezione dei due scienziati (che se la stanno ridendo tutti contenti), nel
tentativo di far capire che io non c’entro, se c’e’ qualcuno da fissare sono
quei due spostati, io stanotte me ne tornero’ a dormire nel mio confortevole
albergo da cinque dollari, a Paksong.
I guardiani, una volta compreso l’effettivo oggetto della richiesta (si’, e’
proprio cosi’, i due falang pazzi chiedono il permesso di “alloggiare” nella
base per un paio di settimane), si mettono a parlar fitto tra loro. Il caso, in
effetti, richiede un consulto, non accade tutti i giorni di incontrare “turisti" da queste parti; tanto meno turisti che vogliano starsene nella base.
Al termine del confronto, la risposta dei guardiani e’ un distillate di pura,
italica, saggezza: per quanto riguarda loro non ci sono problemi ad aver “ospiti”; ma si tratta di decisioni che solo l’ufficio responsabile puo’ assumere. In conclusione, per entrare nella base i due dovranno dimostrare di aver ottenuto un’autorizzazione da parte dell’ufficio, che ha sede a Pakse. Il parere dei guardiani e’ che l’autorizzazione verra’ data (d’altronde, perche’ non assecondare i propositi di questi simpatici folli) ma ci vorranno due o tre giorni per procurarsela.
Dunque, salutiamo i pur sempre esterefatti guardiani e ci rimettiamo in marcia. Occorre trovare un posto per i due ed a questo punto si tratta di trovarlo rapidamente perche’ non manca molto al tramonto (e l’eventualita’ di vagare per la foresta al buio non suona propriamente allettante).
Ci addentriamo con il fuoristrada lungo un sentiero indicatoci dai guardiani. In lontananza si distinguono alcune capanne, ma la via si e’ fatta stretta e non possiamo proseguire con l’auto. Cosi’, ci fermiamo, il cognato di Mr Coffee
raggiungera’ a piedi le capanne e cerchera’ di negoziare ospitalita’ per i due.
Attendiamo appoggiati ai lati del fuoristrada, ascoltando le voci della foresta. Mr Coffee pulisce le lenti degli occhialoni con la maglietta dei Ramones. Ogni tanto, a turno, sputacchiamo qualche nocciolo di rambutan. Il giovane laotiano nel frattempo ha raggiunto le capanne e lo vediamo parlare con una donna, poi con un uomo, poi con un altro uomo. Mentre parla fa ampi gesti con le mani. Al termine della breve conversazione, accenna un saluto e riprende il sentiero, dirigendosi verso di noi. Tutti speriamo porti buone nuove. Ci raggiunge e dice, semplicemente:
”Questa volta non vi posso aiutare, non parlano laotiano”.
(CONTINUA)

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