"VIAGGIATORE, NON C'E' UN SENTIERO.
I SENTIERI SI FANNO CAMMINANDO".

Antonio Machado, Poesias Completas

martedì 30 marzo 2010

CRONACHE INDIANE 2008 - PARTE III

17. TIRUMALA

Ora voglio parlarvi di Tirumala.
Ricordate? Ve ne avevo fatto cenno nel mio primo post; ma non vi dissi altro.
Tirumala, dunque.
Si dice che ogni anno il numero di fedeli hindù che si recano al Venkateshwara Temple di Tirumala superi il numero di fedeli diretti a Roma, Gerusalemme o La Mecca.
Vi sono giornate in cui il tempio accoglie circa centomila fedeli. In un giorno, capite, in una giornata sola, centomila. Qualcosa come un “Simon & Garfunkel in Central Park” quotidiano (senza voler risultare irriguardoso, s’intende, solo per darvi un’idea “quantitativa”).
Al tempio lavorano dodicimila addetti (tra i quali molti barbieri; più avanti vi spiegherò). Dodicimila.
Sono numeri piuttosto impressionanti, non trovate?
Eppure, ditemi, di Tirumala, ne avevate mai sentito parlare?
Io mai.
Per questo decido che Tirumala sarà la prima tappa del mio viaggio.
Così, appena giunto a Madras (che peraltro non offre un granché quanto ad attrattive) m’informo sui treni diretti a Tirumala ed, il giorno successivo, parto.
Il tempio dista alcuni chilometri dalla cittadina; occorre salire, far tornanti.
Trovo una stanza – rumorosissima (ma questo non potrà che accrescere il mio desiderio di silente contemplazione mistica) – accanto alla stazione e mi ci sistemo.
Bene, ora occorre raccogliere un po’ di informazioni e pianificare la visita al tempio.
Pianificare? Già, certo. Perché, cosa credevate, di presentarvi lì, al tempio, così, ingenuamente impreparati, entrarci, fare un giro turistico e magari concludere con qualche bella foto accanto alla statua di Vishnu? No, ragazzi, siete fuori strada. Qui le cose vanno diversamente; fin qui ci siamo venuti per prendere parte alla darshan.
Della darshan vi ho già detto qualcosa nei post precedenti, ma, come si suol dire, repetita iuvant. Dunque, la darshan è la contemplazione della divinità. Per giungere di fronte alla divinità, in genere nel cuore del tempio, occorre percorrere un tragitto più o meno lungo, tracciato (e talvolta delimitato da piccoli pilastri, corde o transenne) all’interno del tempio stesso.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di camminare per qualche metro, la “processione” si conclude rapidamente. Ma non a Tirumala. A Tirumala il percorso ha inizio all’esterno dell’edificio, prosegue nelle “claustrofobiche gabbie” (così le definisce un commentatore) che ne circondano il perimetro, serpeggia nei cortili interni e giunge, infine, ad una piccola costruzione (il cuore del tempio) ed, al suo interno, all’altare, immerso in un’oscurità rotta solo dalla flebile luce delle candele.
La “ordinary darshan” (quella a cui ciascuno può prender parte, semplicemente mettendosi in fila, con una notevole dose di, santa, pazienza) può durare parecchie ore. Una decina di ore, poniamo. In fila, nelle “gabbie”. All’inizio ci si può trovare piuttosto distanziati l’uno dall’altro; ma più ci si avvicina al nucleo pulsante del tempio, più gli spazi diminuiscono, i corpi si comprimono, i passi si fanno lenti e strisciati; e poi gli odori, l’incenso, le voci bisbigliate. Su tutto prevalgono gli avvolgenti canti dei fedeli.
La “ordinary darshan” è gratuita. Per qualche moneta (un paio di euro) e prenotandovi per tempo, potrete però aspirare alla “special darshan”. La differenza? Semplice, la special darshan prevede un percorso più breve. In sostanza: fedele, vuoi giungere più velocemente davanti a Vishnu per snocciolargli tutte le tue accorate preghiere ed implorazioni (o, per lo meno, quelle che riuscirai ad esprimere nei pochi istanti in cui sosterai di fronte all’altare, prima di essere sospinto innanzi dall’onda che preme alle tue spalle)? Bene: paga. Del resto, un paio di euro – direte voi – non sono poi un granché. Beh, non ne sarei così certo, qui, per la verità possono esserlo. In ogni caso, il concetto è chiaro ed universale: se ti avanza qualche monetina per le tasche, è probabile che il buon Dio (qualunque nome abbia) poserà uno sguardo benevolo sul tuo capo di peccatore terreno.
Oltre alle rupie, per accedere alla special darshan occorre però anche muoversi per tempo; ci vuole la “prenotazione” (ebbene sì, anche qui). Al più tardi, entro il giorno precedente o la primissima mattina (che da queste parti significa le quattro e mezza) della giornata in cui intendete prendere parte alla darshan. Per me, dunque, dato che a Torino i servizi di prenotazione per le preghiere in quel di Tirumala non sono ancora molto sviluppati (le consuete italiche inefficienze!), parrebbe profilarsi una serena sveglia intorno alle tre e mezza, per giungere prima dell’alba al tempio e sperare (sottolineo: sperare; nulla è certo) di poter accedere alla darshan versione “special”.
Di ciò mi dà conferma anche l’albergatore: ragazzo mio, il massimo cui puoi aspirare è la special, ci si vede domattina alle quattro. Ma egli, l’albergatore, stolto, non sa – o, per oscure ragioni, finge di non sapere – ciò che io, invece, da buon viaggiatore previdente ed informato, ho appreso sin dall’inizio: per me l’Olimpo indiano ha in serbo qualcosa di meglio. Già, amici miei: esiste anche la “V.I.P. DARSHAN” (V.I.P. significa proprio ciò a cui state pensando, Very Important Person; giuro!).
E – signore e signori – è questa la darshan alla quale io, da buon V.I.P. (ne dubitavate?), prenderò parte. Ma di ciò vi darò conto nel mio prossimo post.

CRONACHE INDIANE 2008 - PARTE II

14. THALI E QUALI

In Tamil Nadu anche in tema di ristorazione le cose vanno al contrario: i vegetariani gioiscono, i carnivori arrancano.

Non che la cosa mi dispiaccia, anzi, io stesso vegetariano lo sono stato, per qualche tempo.

In ogni caso, piaccia o non piaccia, tant’è. Mi spiego: la norma è che i ristoranti siano vegetariani; l’eccezione è costituita dai ristoranti “NON VEG”, cioè quelli che servono anche piatti a base di carne.

Fatta questa premessa, in realtà, la differenza non si percepisce un granché dato che, da queste parti, la carne non sembra essere carne, il pesce non sembra essere pesce e, poniamo, una melanzana non sembra essere… indovinate un po’… esatto, una melanzana.

Tutti i piatti, infatti, si presentano, invariabilmente, come un insieme di piccoli pezzi di carne e/o pesce e/o melanzane e/o meglio-non-porsi-domande immersi – Dio mio, vi giuro, letteralmente “immersi” – in un’implacabile, vasto, strabordante lago di una qualche detestabile salsa speziata.

Quanto ad approccio cromatico, uno spettacolo piacevolissimo, davvero: certi rossi, certi verdi. Quanto a sapore, roba da crimine contro l’umanità. E dato che non si tratta di tinteggiare casa ma di mangiarseli…
Ora, per essere del tutto onesto e non apparire eccessivamente melodrammatico, devo riconoscere che trovarseli in tavola (i suddetti manicaretti), che so, una volta all’anno, potrebbe anche risultare “esotico” e, insomma, ci “potrebbe stare”. Ma trovarseli in tavola tutti i giorni, festivi inclusi, a partire dalla colazione… può mettervi in seria difficoltà, credetemi.

Fissate il cameriere con occhi compassionevoli implorando un pollo “plain”, “simple”, “without any – I say any – sauce”. Lui, il cameriere, sorride comprensivo e fa partire il “metronomo” (v. un paio di post fa). Ha capito, Dio ti ringrazio, ha capito, habemus pollo. Ma poi il pollo – questo sconosciuto – arriva; invariabilmente, pervicacemente, sepolto sotto una colante montagna multicolore.

In questo quadro sconfortante, la mia salvezza è il thali.

Vado a pranzo nell’equivalente delle nostre trattorie – dove non trovo mai, dico mai, nessun turista o comunque occidentale – ed ordino un “meal”. In questo genere di trattorie non c’è il menù, perché non c’è scelta: si mangia il “meal”; ed il “meal” qui è il thali.

Dunque, immagino ora vi stiate chiedendo – a meno che non ne siate segreti estimatori – di cosa accidenti si tratti, insomma, cosa sia questo thali di cui vado parlando.

Eccovi.

Tavolo, in genere di marmo o simil-marmo o pietra.
Niente piatto, niente posate. Il “piatto” è costituito da una grande foglia di banano.
Un bicchiere in ferro pieno d’acqua (non fatelo; lo so fa caldo e siete molto assetati, ma ascoltatemi… non fatelo).
Vi sedete, vi posano sul tavolo foglia e bicchiere. Attendete.
Primo passaggio del cameriere: mestolata più o meno abbondante di riso bollito bianco sulla foglia.

Attendete, La montagna bianca fuma, adagiata sulla grande foglia verde.

Secondo passaggio del cameriere: le salse o “composte” di verdure miste “dense”. Una grande cucchiaiata per ciascuna; in genere sono quattro o cinque. Dunque, quattro o cinque piccole colline colorate, adagiate accanto alla grande montagna bianca e fumante.

Attendete.
Terzo passaggio del cameriere: le salse di verdure miste “liquide”, in piccole ciotole di ferro. Anche in questo caso, quattro o cinque, anch’esse posate sulla foglia, che si arricchisce di colori.

Ultimo passaggio: due focaccine, una croccante, una morbida.

Bene, ecco, questo è il thali.
Ora si tratta di mangiare. E, ditemi, il fatto che le posate non ci siano, cosa vi fa venire in mente?

Non è difficile, è sufficiente osservare che combinano gli altri commensali.
Il thali si mangia con la mano destra; si prende un poco – in quantità a piacimento – del misto di verdure denso, un poco di quello liquido, li si conducono, lungo la superficie della foglia, sino alle pendici della montagna bianca e lì si compone una sorta di variegata polpetta di riso. Polpetta dopo polpetta, gusterete il vostro onesto meal rigeneratore.

C’è comunque la possibilità – di cui personalmente mi sono sempre avvalso – di indulgere in qualche vezzo occidentale, del tipo usare una posata, un cucchiaio, anziché la mano destra (non mi soffermo sul motivo per cui la sinistra, beh, no, proprio non la si possa usare; so che siete giovani intuitivi). Insomma, chiedete e qualche arnese per la raccolta riso e salse vi verrà dato.

Il thali risulterà anche decisamente benefico per le vostre tasche di spiantati e – di conseguenza – parsimoniosi backpackers: il costo di un thali è variabile ma, giusto per darvi un’indicazione, tenete conto che in alcune “trattorie” mi è capitato di spendere tra i 50 ed i 75 centesimi di euro. Un prezzo ragionevole, che dite?

Uscite dal ristorante, riprendete a passeggiare nella calura pomeridiana, sostate all’ombra di un tempio a sorseggiare del chai bollente. La vita può essere davvero deliziosa.


15. ALL ALONE

Se viaggiate soli, probabilmente, non sarete mai soli ma, allo stesso tempo, sempre, intimamente, soli.

Avete ragione, l’affermazione merita qualche chiarimento.

Dunque, aspettate, una premessa. Sino all’anno scorso non avevo mai viaggiato solo. Mi era capitato di trovarmi solo in viaggio per brevissimi periodi, due o tre giorni, in attesa di amici che dovevano raggiungermi; nulla di più.

A ripensarci, ero sempre stato molto fortunato; di viaggi ne avevo già fatto un buon numero ed avevo sempre trovato accanto a me, nel corso degli anni, persone altrettanto appassionate con cui condividere il girovagare.

In realtà, per dirla tutta, viaggiare da soli mi appariva cosa piuttosto triste ed, in definitiva, un po’, come dire, da disadattati o, più semplicemente, da sfigati.

Soprattutto dicevo a me stesso: “che accidenti me ne farei in giro da solo? Santo cielo, sarebbe una noia mortale, nessuno con cui scambiare quattro chiacchiere. E poi, che so, cenare da soli e tutto il resto. Una tristezza infinita!”. In sintesi, la prospettiva di viaggiare solo non mi suscitava, come dire, “timori” ma, questo sì, la sensazione che si sarebbe rivelata un’esperienza irrimediabilmente noiosa.

Allo stesso tempo, però – curiosa la mente umana, non trovate? – l’idea del “viaggio in solitaria” mi affascinava moltissimo e mi ripromettevo, di volta in volta, di vincere gli indugi e provarci.

Infine, l’anno scorso, sempre qui in India (nel nord – lungo la strada dal Rajastan a Bombay) – dato che la mia compagna doveva rientrare in patria per riprendere il lavoro mentre io potevo trattenermi ancora un paio di settimane – ho sperimentato, per la prima volta, l’esperienza di un viaggio, un po’ più prolungato, solo.

Tralasciando i dettagli, perché non è dei dettagli che voglio parlare, ecco, di quei giorni di viaggio “solitario” ho conservato un ricordo intenso, vivissimo, elettrico. Soprattutto, un’inaspettata sensazione di leggerezza; più di ogni cosa, leggerezza. Beninteso, non che non fosse stato piacevole o mi fosse mai risultato in qualche modo “pesante” viaggiare in compagnia, al contrario, stavo benissimo. Ma si trattava di un sapore nuovo. La medesima sensazione che sono tornato a percepire in questi giorni.

Posso andare e posso sostare dove, come e quando voglio. La strada è mia ed ogni bivio è mio. La terra è mia.
Del resto, proprio il ricordo di quei giorni dell’estate scorsa ha fatto sì che quest’anno, malgrado tutto, desiderassi partire solo, come ho fatto.

Quanto all’incipit (l’affermazione sui viaggiatori solitari con cui ho aperto il post), ora, completata la premessa, vi spiego cosa intendo.

Mi riferisco, in particolare, alle persone - viaggiatori come voi o abitanti del luogo in cui vi trovate - che incontrerete durante il vostro “vagabonding”.

Dunque, con le persone con cui vi troverete incidentalmente a trascorrere parte del viaggio (quelle che non conoscevate in precedenza ed avrete incontrate “on the road”) potrà accadere che si stabilisca un rapporto di eccezionale intensità, spontaneità, condivisione. Potrà succedere che vi paia di conoscervi da una vita; quando magari avrete trascorso insieme solo pochi giorni. E l’uno/a dell’altro/a non conoscerete, in realtà, pressoché nulla. Vi confronterete sulle prossime tappe del viaggio, scambiandovi guide e appunti e mappe, ma, nel contempo, saprete che, prima delle vostre, rispettive, prossime tappe, le strade potrebbero essersi già divise. Perché, anzitutto, siete Viaggiatori e c’è un treno o un bus o un qualsiasi mezzo che vi aspetta e ci dovete salire (giusto?) anche se non sapete, in fondo, perché sia proprio quello. E perché il tempo vi morde ed avete una casa ed una gabbia di mondo a cui tornare. Ed a casa ci volete tornare con gli occhi grassi e sazi di tutto quel che ci avrete potuto mettere dentro, di tutte quelle persone e case e strade e tutto il resto e …

Uhi, scusate, troppa enfasi, quanta enfasi, davvero, perdonate, vado a farmi un roti (o un chapati), credo sia meglio, davvero, grazie, scusate. Ciao.


16. IMPRIMITI NELLA MEMORIA!

Quanto tempo dovrò restare ed osservare perché questi luoghi si imprimano nella memoria?
Passeggio per i templi di Kanchipuram, attraverso i cortili, mi siedo in prossimità delle scalinate. Osservo, molto, i particolari, delle persone e delle cose. Poi riprendo a camminare.
Quanto tempo perché non scolorino, non si sciolgano, nel fuoco della memoria?
Non ho vincoli, grazie a Shiva, nessun strombazzante autobus di odiosi tour all inclusive ingoia turisti ad attendere.
Sapete, potrei star qui seduto tutto il giorno ad osservare. Per la verità, potrei starmene qui tutto il santo giorno e tornare anche domani, ecco.
In definitiva, non mi risolvo ad andarmene perché mi prende il timore che non sia abbastanza e che dimenticherò e quel che non voglio è “dimenticare”.
Avete mai vissuto questa sensazione?
Potrei fare delle ottime fotografie, certo, ma non è questo che intendo, avete capito.
Si sta facendo buio e mi domando: quanto tempo dovrò restare ed osservare perché questi luoghi si imprimano davvero nella memoria?

CRONACHE INDIANE 2008 - PARTE I

ANTEFATTO DELL’ANTEFATTO

Nell’estate del 2008, durante il mio girovagare solitario in sandali e zaino per l’India meridionale (da Madras a Bombay), tenni, come molti backpackers, un piccolo “diario di viaggio”. Per la verità, più che di un diario si trattava di un insieme di rapide notazioni, episodi, ricordi, scritti essenzialmente per me stesso e disordinatamente riportati sul fedele “little black book”. Alcuni di questi brevi e futili frammenti sono comparsi sul mio profilo di myspace (ormai desueto); altri sul forum di Gramellini, sul sito de La Stampa, dedicato, per l’appunto ai racconti di viaggio dei lettori. Questi piccole, come definirle, “impressioni” – quanto a forma, di livello, lo so bene, molto modesto – sono state talvolta “postate” sui siti che vi ho citato attraverso malconce tastiere, in cui i caratteri hindi si sovrapponevano e confondevano alle lettere nostrane, da “internet point” di fortuna e con connessione a continuo rischio caduta. Il che ne giustifica, in parte, la stesura frettolosa. Bene, da tutto ciò è trascorso del tempo, perché, dunque, parlarvene?


ANTEFATTO

A distanza di mesi dalla conclusione di quel viaggio, alcuni amici, in momenti differenti, mi hanno fatto sapere che nei meandri di internet (potenza perversa del web) avevano casualmente ritrovato uno o più di questi piccoli e lievi “post”. Fluttuavano abbandonati nel mare della rete e riaffioravano allorché un navigante evocava parole chiave combinate, del tipo “culasso” e “bombay” (cosa li avesse indotti a farlo, sinceramente, non lo so, ma tant’è). Ho personalmente provato di recente ed ancora, in effetti, se ne può trovare qualche remota traccia, sia pure ormai sopraffatta dall’incedere del tempo e dalle più recenti vicende riguardanti i culasso del mondo (spassosa la cronaca delle misteriose rivendicazioni “culasso c’è” in lazio!) e le loro connessioni con l’India. Bene, quando ho raccontato ad un’amica che mi domandava cosa ci stessi a fare in rete discettando di “marocchini indiani”, che questi ricordi erano riemersi, mio malgrado ed a mia insaputa, attraverso i motori di ricerca web, l’amica in questione (ahilei!) mi ha detto “l’ho trovato curioso, mi ha fatto sorridere… perché non mi mandi anche gli altri?”. La qual cosa – eccomi al dunque – mi ha fatto nascere l’idea di ricercare i frammenti perduti e “pubblicarli” (il termine può forse suonare un po’ eccessivo) qui, su Facebook. Dunque, ecco, qui di seguito troverete un primo insieme di piccoli “episodi” indiani. Ancora una cosa: se continuo – come in effetti continuo – ad essere dell’idea che si tratti di piccoli “ricordi” scritti destinati essenzialmente a me stesso, perché esporli su un social network? Per la verità, non saprei cosa rispondere, se non che, se un buon uso di questi “strumenti” è possibile, beh, esso dovrebbe consistere proprio nel consegnare al mondo qualcosa di noi stessi, anche solo qualcosa di futile, minuto, una piccola traccia, una vaga idea, un segno del transito terrestre. Ciao.


1. LA PREZIOSA ARTE DI INSINUARE IL DUBBIO (OVVERO: LO STUPORE GENERA MEDITAZIONE) - PARTE I

Amici miei,
una domanda alla quale vi prego di (provare a) rispondere senza eccessive riflessioni.
Qual e', secondo voi, nel mondo, la localita' che ogni anno vede l'affluenza del maggior numero di fedeli?
Intendo, la citta' santa, il luogo di culto, visitato dal maggior numero di credenti?
Vi sottopongo alcune possibili, ragionevoli, risposte: Roma? Gerusalemme? La Mecca?
E se nessuna di queste risposte - che ci appaiono tutte cosi' potenzialmente "vere" - lo fosse, "vera", corretta intendo? Non dico che non lo sia - o che lo sia - il compito che mi sono prefisso oggi – nel caso in cui questo argomento fosse di vostro interesse – è solo quello di insinuare il "dubbio".
Aggiungo ancora una cosa: se vi sussurrassi la parola "Tirumala", vi direbbe qualcosa? A me sino a qualche giorno fa non diceva nulla, per la verita'. Oggi, invece, qualcosa mi dice, qualcosa di connesso al "dubbio" su cui vi ho intrattenuto nelle righe che precedono.
Dubitate. Sempre.


2. ANCORA SUL FILO DI DUBBI E MEDITAZIONI

Chi e' piu' "arretrato" (per quel che possa valere questa categoria), un abitante del Tamil Nadu (India) o un italiano?
Leggo sul quotidiano di Madras (in lingua inglese) "THE HINDU" di sabato 26 luglio l'articolo seguente (di cui vi riporto un estratto):
"Ci sono voluti quasi dieci anni di campagne femministe per ribaltare una delle piu' ridicole ‘regolamentazioni’ sulla violenza sessuale in Europa; quindi, credetemi, non si puo' che essere grati per questo cambiamento. Questa settimana, i giudici della Corte di Cassazione italiana hanno ribaltato una pronuncia che diceva, in sostanza: se una donna indossa i jeans e' impossibile che subisca 'violenza sessuale' perche', per consentire all'uomo di 'infilarsi' nei suoi pantaloni, deve essere stata 'collaborativa' (consenziente). Si tratta, seriamente, di un principio espresso in un caso giudiziario del 1999, che equivale un po' a dire: se non vuoi essere violentata, incrocia le gambe".
L'articolo prosegue ma direi che puo' essere sufficiente.
Impressionante, non trovate?
Ora, chi e' piu' "arretrato": il redattore dell'HINDU o quel giudice?
Alla prossima, saluti da Mamallapuram, Tamil Nadu.


3. TORINO MONSONICA

Come qualsiasi viaggiatore che narri del proprio viaggio, non posso esimermi dal trattare brevemente dell'argomento "tempo" (inteso come clima).
A questo proposito, il clima e' piu' "indiano" a Torino o nel Tamil Nadu?
Ah, questa volta il dubbio ve lo tolgo subito: se raffronto il nefasto giugno torinese con il fine luglio indiano, la risposta e' immediata: il clima, almeno per i periodi che ho detto, e' senz'altro stato piu' "indiano" a Torino.
Da queste parti la pioggia si e' vista un paio di volte ed e' comunque stata cosa rapida e, tutto sommato, piacevole; un paio di pioggerelle rinfrescanti, ecco.
A Torino, beh, non credo di poter dire nulla che gia' non sappiate sul deprimentissimo periodo di acqua e fulmini appena trascorso.
E allora? Salvo interventi chiarificatori di qualche metereologo di quelli buoni, temo occorrera' rassegnarsi, preparandoci ai prossimi monsoni torinesi!


4. LEZIONI DI VITA INDIANA PER VIAGGIATORI "ZAINO IN SPALLA".
LESSON ONE: SONO UN PEDONE E DEVO ATTRAVERSARE LA STRADA

Nessuno, nessuno si fermera'.
Malgrado nessuno si fermi, nel caso attraversiate, nessuno vi verra' contro.
La prima regola e' granitica.
Quanto alla seconda, sconsiglio vivamente di metterla in pratica con eccessiva leggerezza perche' potrebbe subire delle rilevanti eccezioni (e, siccome ne va della pellaccia, le "eccezioni" e' bene tenerle in gran conto).
Un'altra cosa: sebbene il traffico [di veicoli di ogni specie e genere: macchine, camion, camioncini, camionette, moto, biciclette, autoriscio' (tuk tuk), carretti spinti/tirati a mano, vacche, capre, nel nord anche cammelli, ecc.] sia un continuo e spericolato incastro di tasselli disordinati, sempre ad un filo dalla collisione, nessuno se la prendera' troppo, nessuno mandera' al diavolo il prossimo per un'abbondante invasione di corsia, un violento contromano o una "rasetta" piu' "a raso" delle altre (che sono la norma).
Oddio, anche questa regola potra' subire delle eccezioni, qualche "vaffa" scatta pure qui, intendiamoci.
Pero', in linea di massima, tutto verra' accettato nel contesto della sublime armonia del caos che domina ogni cosa da queste parti.
E allora, per tornare allo scopo della nostra "lezione", che fare se ci si para dinanzi lungo il cammino un ampio e trafficato viale che proprio non possiamo fare a meno di dover attraversare?
Tenuto conto che "l'unione fa la forza" sara' bene, anzitutto, profittare di qualche gruppo di ardimentosi "attraversatori" autoctoni, insinuandoci tra le loro fila.
Se cio' non fosse possibile, non temete, occorre solo la giusta concentrazione, il segreto e' inserirsi nel meccanismo al momento giusto.
Bene, proviamo.
Siete sul ciglio del marciapiede, repentini movimenti del capo a destra e sinistra, lo sciame veicolare si e' un poco diradato, questo e' il momento, ora. Adesso!
Ahi.
Eravate partiti benissimo, un primo passo eccellente, davvero, non lo dico per confortarvi.
Tutto sarebbe andato per il meglio, ne sono certo, se non fosse stato per gli stramaledetti colonizzatori inglesi e la loro solita mania di differenziarsi.
Sinistra, ehm, qui la guida e' a sinistra... la prima occhiata, quella di cui vi parlavo... occorreva darla a destra.
Non ve l'avevo detto?
I'm sorry.


5. LESSON TWO: ALLA STAZIONE DEI BUS.
DIALOGO ALLA STAZIONE DEI BUS DI PONDICHERRY

(il tutto in inglese, con pesante accento tamil del mio interlocutore).
IO: "Salve, vorrei sapere quando ci sono bus per Madurai; in particolare se ce n'e' uno notturno" (n.d.r.: perche' quel che gia' so e' che il viaggio durera' otto ore).
IMPIEGATO DELL'UFFICIO INFORMAZIONI: "Ce n'e' uno al giorno, alle 21.30".
IO: "Bene, occorre prenotare?".
I.U.I.: non dice nulla, si limita a sollevare l'indice in direzione della parte superiore del vetro che ci divide, su cui c'e' scritto "BUS PER MADURAI: RISERVARE UN MESE PRIMA".
IO: accenno un sorriso, esclamo "Ah" ed aggiungo " un mese fa ero in Italia e, sinceramente, neppure sapevo cosa fosse Madurai...".
I.U.I.: anche lui sorride, comprensivo, ma con un'espressione, come a dire "cosi' va il mondo, fratello mio".
IO: "Quindi per il bus di domani sera, niente immagino...".
I.U.I.: "Domani sera? Si', c'e' posto".
Silenzio.
IO: "Ah, c'e', bene. E, solo per sapere, dopodomani...?".
I.U.I.: "C'e' posto".
IO: "Anche dopodomani".
I.U.I.: "Si'".
IO: "Molte grazie, arrivederci".
- - -
A Madurai poi ci sono andato, ma con il bus di una compagnia privata, non con quello "pubblico", per cui occorreva la famigerata prenotazione (ma sul quale probabilmente avrei trovato posto anche se mi fossi presentato pochi minuti prima della partenza).
Non per scarsa fiducia nel "pubblico" eh, e' solo che, dunque, il biglietto che mi avrebbe venduto il solerte impiegato di cui sopra costava 120 rupie (due euro tondi), mentre per 300 rupie (cinque euro) mi veniva prospettato dal "privato" un, decisamente piu' allettante, bus (cito testualmente quanto riportato sul biglietto) "HI TECH DELUXE".
Non ho saputo resistere al fascino della tecnologia. E la differenza di prezzo mi e' parsa ragionevole.
Bene, la promessa tacnologica e' poi stata mantenuta?
Certamente no, il bus "HI TECH" si e' rivelato un patetico carrozzone.
Ma durante il viaggio hanno trasmesso un film targato "KOLLYWOOD" (ve ne parlero' quanto prima) davvero esilerantissimo.
Io ed il mio vicino di posto ci siamo sbellicati dalle risate, vi giuro.
Forse che viaggiare soli faccia male?!...


6. REFERENDUM: TOMINO, ROTINO...?

Alcune cose si direbbe non debbano cambiare mai.
Tra queste, i nomi delle citta'.
Non che in passato non sia accaduto, che citta' cambiassero nome intendo.
Ma, voglio dire, Roma e' Roma, Venezia e' Venezia, Firenze e' Firenze, ecc., e si presume che restino tali; quanto meno che non vi siano nell'aria cambiamenti imminenti.
Anche quel che vi ho appena detto, che dalle nostre parti si direbbe certo, qui in India non lo e' affatto.
Alcuni esempi: Bombay nel 1996 ha cambiato il proprio nome nell'attuale Mumbai; Pondicherry nel 2006 ha deciso di chiamarsi Puducherry; Trivandrum e' diventata Thiruvananthapuram (giusto per semplificare le cose); Cochin e' Kochi (qui direi che il cambiamento e' stato meno cruento); Madras? Sciocchini, ora si chiama Chennai. E potrei continuare.
Ora, sull'esempio delle lodevoli (se non altro perche' infondono uno sfrizzico di novita' nella piatta vita urbana) iniziative che ho appena menzionato, indico un solenne referendum i cui risultati saranno ufficialmente comunicati a Mister Chiamparino.
Premesso e considerato che 'sto "Torino", sempre 'sto "Torino", diciamocelo, e' diventato una vera noia, si raccolgono proposte per il nuovo nome della nostra beneamata citta': Tomino, Rotino...? Si attendono suggerimenti. Aria nuova, aria nuova.


7. PIU’ RISPETTO PER KOLLYWOOD

Dunque, c'e' Hollywood. E fin qui ci siamo.
Ma, come alcuni di voi sapranno, c'e' anche "Bollywood".
Cosi' viene definito l'epicentro della colossale industria cinematografica indiana, che ha sede a Bombay (o Mumbai, vedasi precedente post).
E guardate che non e' roba da scherzare eh, perche' alla fin fine Bollywood sforna qualcosa come un migliaio di film l'anno; insomma, Bollywood ha da tempo superato Hollywood per numero di produzioni e la cosa non deve sorprendere se si considera che il cinema indiano vanta un pubblico pari a circa un sesto della popolazione mondiale.
Ora penserete: il titolo del post... il narratore ha commesso un deprecabile errore, c'e' un refuso, una "k", lettera infida, ha spodestato la "b" e "Bollywood" si e', abusivamente, trasformata in "Kollywood".
No no no, amici, nessun errore.
Il fatto e' che se credevate che si risolvesse tutto nel dualismo Hollywood - Bollywood, eravate voi ad essere in errore.
Perche', ebbene si', c'e' anche Kollywood, proprio con la "k".
Pensavate che a Chennai (o Madras, vedasi sempre post precedente) stessero li' a girarsi i pollici mentre sull'altra sponda si dilettavano a girare quei polpettoni indigeribili?
Giammai. Ragion per cui, ecco Kollywood (la "k" vien fuori da un quartiere di Chennai, Kodambukkam, in cui hanno sede la maggior parte degli studi) la luccicante industria del cinema in lingua tamil, che, cito dalla Lonely Planet 2007-8, "rivendica la propria tradizione cinematografica basata su una produzione di alta qualita', su tematiche maggiormente legate a tematiche sociali e su eroi decisamente piu' credibili (n.d.r.: rispetto a Bollywood)".
Orbene, ho fatto questa premessa perche' - come vi dicevo concludendo il mio penultimo post - sul bus notturno che percorreva la tratta Pondicherry - Madurai mi son gustato una pellicola di autentica produzione kollywoodiana.
Ragazze/i, me-ra-vi-glio-sa!
Non credevo fosse possibile accorpare in un solo film tutti, ma vi giuro tutti, i generi cinematografici che mente umana abbia concepito a partire dalla bella trovata dei fratelli Lumiere!
Ma lasciate che prima vi dica della trama del film, che, di per se', e' di una semplicita' demenziale e si puo' cosi' riassumere (una precisazione: era sottotitolato in inglese; va bene essere intuitivi e dotati di rapido apprendimento delle lingue, ma del tamil mi sfugge ancora qualche sfumatura).
Anzi... perdonate, ma non posso resistere alla tentazione di creare un poco di legittima suspence al riguardo... per trama, cineforum e tutto il resto... al prossimo post...!


8. PIU’ RISPETTO PER KOLLYWOOD - PARTE II

Dunque, rieccoci, la trama stavo dicendo.

In verita', vi devo confessare che l'interruzione di ieri non c'azzeccava proprio niente con la suspence ma e' stata determinata da una ragione molto piu' pratica. Mentre ero a scrivere all'internet cafe', a un certo punto, si sente un botto sordo e dopo un po' un odore di bruciaticcio che si diffonde per i locali. Insomma, non so che diavolo di cortocircuito ci sia stato ma non mi sembrava il caso di farmi arrostire le chiappe per concludere il post. Da li l'espediente della suspence. Comunque, dite la verita', ha funzionato eh, non stavate nella pelle dal desiderio di sapere come va a finire, vero?


Allora, il protagonista (descrizione: un tipo alla Vastano, il comico di Drive In che diceva "io il 18 l'ho rifiuto!", ricordate, nel periodo in cui portava i baffi pero') e' un ingegnere di origine tamil che e' andato a studiare e lavorare negli Stati Uniti ed e' tornato in patria ricchissimo. Ora, tornato in India il suo proposito e' di spendere i soldi che ha guadagnato per realizzare, tra le altre opere benefiche, un grande ospedale che presti assistenza gratuita per i bisognosi (che da 'ste parti non mancano). Insomma, il protagonista - che, tra l'atro, pur essendo un vero cesso, e' circondato da pulzelle validissime (ma questo tutto sommato e' l'aspetto piu' credibile del film, perche' e' pieno di soldi) e' un buono, ma proprio di quelli buoni buoni. Salta pero' fuori un primo inghippo: qualcuno gli spiega che non e' che, bello bello, te ne vai in comune, presenti il progetto, ottieni la concessione e costruisci l'ospedale benefico. Enno', per avere il permesso, occorre "ungere" i funzionari di tutti i livelli della piramide burocratica; insomma niente tangentuzze, niente concessione (ma pensate, che orrore, meno male che da noi queste cose non capitano). Il protagonista s'incazza come una iena e proclama " Giammai! Otterro' i permessi in maniera regolare, secondo la legge".
Il povero illuso pero' s'imbatte subito in rifiuti provenienti da tutti i livelli della suddetta piramide burocratica, una volta perche' manca una firmetta, una volta perche' manca il tale allegato, ecc. (insomma, cose che noi italiani non possiamo comprendere perche' grazie a Dio nel nostro bel paese non accadono, ma che qui possono capitare).

Vista la situazione e considerato che il suo scopo precipuo e' comunque di realizzare l'ospedale e far del bene (se no che buono buono sarebbe?!), il nostro, pur disgustato, si convince a elargire un po' di mance. E l'opera viene finalmente avviata. Ora, parallelamente a tutta questa vicenda edilizia, ovviamente, c'e' anche la storia d'amore (se no il film se lo filerebbero solo geometri ed affini). Al rientro in patria, infatti, i familiari del nostro eroe gli hanno preparato un vasto assortimento di fanciulle locali, tra cui scegliere la giovinetta con cui maritarsi (perche' 'sto fatto che non sia ancora sposato non va per niente bene; di questo vi parlero' nel prossimo post).

Della selezione delle giovani, in realta', si e' occupato uno zio del protagonista, un mezzo porco frequentatore di locali notturni, che, occorre ammetterlo, la selezione, quanto all'aspetto strettamente estetico, l'ha curata bene: insomma, gli propone un set di fighe da paura (perdonate la rudezza del termine, e' per rendere l'idea) ma totalmente decerebrate. Ora, secondo voi il nostro si puo' accontentare di una, pur bella, oca giuliva?
No, lui - oltre che, ovviamente, bona (e questo non c'era manco bisogno di dirlo) - la vuole:
- serissima;
- pero' allo stesso tempo estroversa, cordiale e divertente, ma senza esagerare, una cosa giusta;
- devotissima frequentatrice del tempio;
- intelligentissima;
- erudita;
- eccellente cuoca;
- dotata di voce armoniosa ed in grado di tirar fuori - cosi', a semplice richiesta, tipo juke-box - almeno un migliaio di canzoni della tradizione tamil;
- eccellente danzatrice di balletti tamil;
- pregevole interprete di opere teatrali tamil (del resto, chi di noi, la sera, dopo cena, non gradirebbe assistere ad un piccolo spettacolo anziche' sprofondare sul divano davanti alla solita TV?!).

Lo zio (alla fine il personaggio piu' simpatico del film), udito lo snocciolamento di tutte le summenzionate prerogative, esprime al protagonista il proprio pensiero, che si puo' riassumere in questi termini: nipote mio, in America ti sei bevuto il cervello, figliole del genere non ne esistono. Ma - volete sapere - e' lo zio a sbagliare a 'sto giro.

E nel prossimo post ve ne spieghero' la ragione.


9. PIU’ RISPETTO PER KOLLYWOOD - CONCLUSIONE

E meno male che la trama era semplice (v. ultimi due post). Mi sono accorto che c'ho gia' dedicato un sacco di tempo, quando, in realta', non era tanto la trama ad interessarmi quanto l'inclassificabilita' dell'opera secondo le categorie cinematografiche nostrane.
Ragion per cui, sulla trama mi limito solo piu' a dirvi che, come vi anticipavo la volta scorsa, salta fuori un cattivo. Il dualismo buono - cattivo si sviluppa attraverso le seguenti fasi:
- dapprima prevale il cattivo;
- dopodiche' prevale il buono;
- successivamente prevale il cattivo;
- indi prevale il buono;
- cattivo;
- vince il buono: fine del film.
Ragazze/i, capisco che come sunto della pellicola non sia proprio il massimo, pero'. che vi devo dire, prendetevelo da Blockbuster (sappiate comunque che la Tornabuoni secondo me quattro pallini glieli darebbe).
Il punto e', invece, il guazzabuglio di generi che Kollywood (come Bollywood) riesce a condensare e centrifugare in una sola pellicola. Davvero sorprendente. Guardate, in India, se si decide di andare al cinema tra amici e' impossibile litigare sulla scelta. Entrate in una sala a caso, tanto in un film c'e' tutto!
Eccovi qui di seguito una sintesi dei generi presenti nella sopra commentata opera kollywoodiana.
- Commedia: alcuni momenti sono davvero comicissimi, come quello in cui il protagonista si inghiotte un piatto intero di peperoncini e poi, per non ammettere che sta andando a fuoco, corre in bagno, ci si chiude dentro e solo a quel punto urla come un pazzo e trangugia 5 litri d'acqua. Insomma, Villaggio non si e' inventato niente, 'sta gag c'e' pure qua accidenti!
- Dramma: ah beh, qui il dramma ci sta tutto. I poveri bisognosi, la lotta contro i funzionari corrotti, i colpi bassi del cattivo. Guardate, ne ho ampiamente discusso con il mio vicino di posto sul bus ed anche lui conveniva sul tenore altamente drammatico della pellicola (solo mitigato da mangiate di peperoncini e simili).
- Sentimentale: nel corso del film, lei e lui si guarderanno intensamente negli occhi, in silenzio (con repentino cambio di "primo piano" occhi di lei - occhi di lui), almeno 500 volte. Ragazzi se non e' amore questo, ditemi voi!
- Musical: cosa succede nei momenti cruciali del film, quei 5 - 6 punti fondamentali nello sviluppo della storia? I personaggi affrontano una conversazione di particolare profondita'? C'e' una sparatoria? Un flash-back? Si svela un aspetto sino a quel punto oscuro? No, nulla di tutto questo. Ballano. Santo Dio, ballano. Questa e' una costante di tutto il cinema indiano, nei momenti topici scatta il balletto. Una tristezza infinita, vi dico, ma un passaggio necessario.
- Film di cazzotti alla Bud Spencer: il cattivo vuole uccidere il buono. Ottimo, dico io, sparagli. Cacchio (scusate se mi scaldo), assolda un cecchino che gli spari da tre kilometri! No. Lui lo vuole far uccidere a botte. Tutte le volte i suoi scagnozzi buscano palate a cascata (dal protagonista e dal simpaticissimo zio), ma lui niente, non demorde. Consiglio, in particolare, la visione della scena della scazzottata nel negozio di musica, con distruzione di n. 2522 strumenti (contati dal mio vicino di bus, tranquilli).
- Fantascienza: mentre si menano con padelle ed ombrelli (nella migliore tradizione del buon Bud, vedi citazione supra), non ti compare l'effetto alla Matrix?! Geniale!
- Thriller: ebbene si, nulla ci e' stato risparmiato. Tra gli innumerevoli tentativi ammazzare il protagonista, ce n'e' anche uno con coltellaccio in controluce mentre il malcapitato (che poi comunque ne esce senza un graffio) sta facendo la doccia. Del resto, se si erano ispirati a Villaggio per la scorpacciata di peperoncini, potevano esimersi da rendere un tributo ad Hitchcock (come diavolo si scrive?!) per l'omicidio nei servizi igienici?
Bene, credo di avervi fornito una sintesi piuttosto efficace della pellicola e con cio' del grandioso cinema kollywoodiano.
So di avervi fatto cosa gradita ed immagino che domattina correrete in edicola alla ricerca di un bel dvd scoppiettante in perfetto stile tamil.
Per parte mia, non posso che lasciare a voi ogni ulteriore commento e concludere con la solenne invocazione... " piu' rispetto per KOLLYWOOD!".


10. DAMMI QUATTRO DOMANDE, SOLO QUATTRO DOMANDE...

Qualsiasi conversazione avviate con un indiano, passerà, necessariamente, attraverso quattro domande "chiave" (sue, dell'indiano, nei vostri confronti).
Le quattro famigerate domande sono:
- da dove vieni (di che paese sei)?
- come ti chiami?
- che lavoro fai?
- sei sposato?
Porgere queste domande sara' perfettamente normale per il vostro interlocutore e non deve essere assolutamente inteso come un comportamento invadente o scortese; tanto e' vero che se sarete voi a domandare a lui le medesime cose, sara' in genere lietissimo di rispondervi.
Bene, sulle prime due non ho particolari commenti.
Un paio di anni fa, in Cambogia, quando dicevo "italiano", mi facevano il gesto della testata ed esclamavano "Materazzi" ("storpiato" in vari modi) ma, grazie a Dio, il tempo cancella ogni cosa, anche le piu' turpi.
Comunque, le prime due domande vanno via lisce.
Sulla terza, quando dico "avvocato", guadagno addirittura qualche punto, perche' qui e' considerata professione degna di stima (conoscessero alcuni degli avvocati nostrani si ricrederebbero subito, ma tant'e').
Come avrete intuito, pero', il momento critico arriva con la quarta.
"Not married".
Prego (dice lui)?
"Not married".
Ah.
Questo non va bene.
I piu' benevoli cercano di salvare la situazione con una domanda d'emergenza: "anni?" (probabilmente pensano: questo pare un vecchio, ma magari e' ancora un ragazzino affetto da una sindrome che lo fa sembrare un vecchio; il che potrebbe giustificare la condizione di celibato).
Io: "35".
Bon, c'avevano provato, anche con l'escamotage della sindrome, ma, niente da fare, sono un caso disperato.
Uno, giuro, un vero bonaccione, arriva a dirmi, con voce supplice "ma il prossimo anno ti sposi vero?...".
Non ho avuto cuore di negare.
Dopo una serrata contrattazione, sono riuscito a chiudere per la primavera 2010.


11. RICHIESTA INFORMAZIONI E REGOLA DEL METRONOMO

Gli indiani in genere accompagnano un "si'" o un "no" con un movimento del capo.
Bella scoperta, direte voi, anche, che so, a Rivoli o Carmagnola, la testa su-giu' sta a dire "si'" e la testa sinistra-destra sta a dire "no".
Eh gia', ma qui - e ti pareva - e' diverso.
Chiedete un'informazione, anche la piu' banale, del tipo "il treno per Aurungabad parte alle sette?" oppure "posso avere ancora del riso sulla mia foglia di banano?” (gli estimatori del thali comprenderanno).
Una risposta affermativa in genere verra' espressa senza profferire parola ma semplicemente con un ripetuto movimento ondulatorio del capo destra-sinistra, sinistra-destra.
Ma, occhio, non e' come il nostro "no" (se no sarebbe facile, basterebbe tenere a mente che il "no" vuol dir "si'" e viceversa). E' un movimento, come spiegarvi, ecco, come quello del metronomo, avete presente? Un metronomo regolato su un tempo veloce.
Ma non e' finita, ahime'.
Il movimento del metronomo, infatti, puo' anche significare "prego" (in risposta ad un vostro "grazie"), oppure "sono d'accordo" o comunque una generale approvazione. A volte poi il metronomo scatta cosi', semplicemente perche' il nostro interlocutore e' lieto e gli va di ondeggiare un po' il capo.
Ora pero' vedete, non so come dirvelo, le cose si complicano. Perche' il metronomo - sempre in risposta alle vostre domande di sopra - potrebbe anche voler dire "mmm, forse" oppure "non lo so proprio bene bene" o ancora "fratello, non c'e' una risposta, la risposta e' dentro di te" (o qualcosa del genere).
A dirvela propria tutta, ecco, il metronomo potrebbe anche significare... "no!".
Grazie a Dio, la Lonely Planet ed. 2007-08 interviene sul punto con un commento definitivamente chiarificatore: "Vale anche la pena ricordare che quando il vostro interlocutore scuote la testa non significa necessariamente 'no'. Puo' anche voler dire 'si', 'forse' o 'non ho idea'".
Dunque? Beh, in generale direi che sara' buona norma richiedere la medesima informazione almeno una ventina di volte e dare un'occhiata al cartellone luminoso per capire se il treno per Aurangabad parte davvero alle sette (se compaiono le indicazioni in hindi, tranquilli, dopo qualche secondo arriveranno le scritte in lettere nostrane).
Ancora una cosa in proposito. Sapete chi mi fa morire?
I turisti "alternativi" - debbo dire che da queste parti e' piu' tipico delle turiste - che vogliono fare a tutti costi gli "indiani", per inserirsi nella realta' locale. E quindi, ad esempio, mangiano il thali con la mano destra (senza posate, come in genere gli indiani) o si vestono con indumenti tipici indiani; o ancora, per tornare a quanto dicevo sopra... ondeggiano.
Ora, ragazzi, passi il thali a manate ed il vestito fricchettone, ma l'ondeggiamento no, vi prego!
Costoro riescono nella non facile impresa di risultare dei doppi imbecilli, dato che:
- appaiono degli imbecilli agli occhi degli indiani, perche' un conto e' un abitante di Aurangabad (oggi ce l'ho con Aurangabad, abbiate pazienza) ondeggiante, un conto e'un americano/a paffuto/a e rubicondo/a ondeggiante;
- appariranno come degli imbecilli al rientro in patria, quando, ancora per qualche tempo, daranno di ondeggiamenti col capo, suscitando negli interlocutori preoccupati interrogativi del tipo "John in India s'e' bruciato il cervello, guarda come scuote!".


12. MAROCCHINI INDIANI


Vi e' mai capitato di trovarvi in giro per lo stivale, che so, in centr'Italia o nel meridione, e di domandare al bar un "marocchino"?
Nella gran parte dei casi - fino a qualche tempo fa, certamente; ora ho un po' perso di vista le sorti della calda bevanda - il barista vi avrebbe guardato con l'espressione di chi si sta chiedendo che accidenti diciate.
La cosa mi e' sempre stata spiegata in questi termini (se voi avete una spiegazione diversa, fatemelo sapere please): il marocchino - sempre la bevanda eh - e' tipico di Torino; se lo chiedi altrove puo' capitare che non capiscano.
Bene, curioso come delle volte sembri proprio che le distanze si "relativizzino", o, meglio, che luoghi lontani appaiono, anche solo per un momento e per piccole circostanze del quotidiano, piu' vicini; e viceversa.
Sono giusto di ritorno da un locale dove viene proposto - ed ho personalmente gustato - un delizioso "marocchino", con tanto di spiegazione sull'origine sabauda del medesimo.
Nulla di particolare, direte voi.
Solo che il locale si trova a Bombay.
E se il "marocchino" lo avessi chiesto, per esempio, in un bar di un qualche quartiere di Roma... mi avrebbero capito? .


13. ALCUNI PICCOLI CURIOSI FATTI SPARSI

UNO.
Sul bus per Kanyakumari, via via scendono le persone alle varie fermate, ed alla fine restiamo cinque o sei indiani ed io.
Le persone che sono rimaste a bordo - tutte con lunghi baffoni d'ordinanza - vestono in maniera molto modesta (indossano il "lungi", o almeno credo sia corretto chiamarlo cosi'; in sostanza, un semplice pezzo di stoffa avvolto in vita, a formare come una gonna "a tubo", per intenderci), calzano sandali e portano a tracolla borse di stoffa colorata.
Osservo.
Tutti hanno un cellulare piu' moderno del mio.

DUE.
Ancora su telecomunicazioni, cellulari ed affini.
La "darshan" e' la contemplazione della divinita' nel tempio. In genere, occorre seguire un percorso all'interno del tempio che conduce alla sala della darshan (un po' come se si trattasse di percorrere un tracciato per giungere all'altare principale in una delle nostre chiese).
In alcuni templi, si forma una coda, piu' o meno lunga, per giungere alla darshan.
La "ordinary darshan" al tempio di Tirumala (v. alcuni post fa; tornero' comunque sull'argomento) puo' richiedere anche molte ore di attesa in coda.
Ebbene, fedeli non temete. Le compagnie telefoniche hanno pensato anche a questo. Le emittenti televisive indiane pubblicizzano un servizio offerto da una compagnia di telefonia mobile che consente di ricevere periodicamente MMS con darshan provenienti da vari templi (cioe', in sostanza, immagini fotografiche dei vari "altari")! Quando si dice la tecnologia a servizio dello spirito!
Solo mi domando... ai fini della salvezza ultraterrena, la darshan "telematica" varra' quanto quella del povero tapino che s'e' fatto dieci ore di coda a Tirumala?

TRE.
A Mysore, una coppia di giovani (lei e lui), che poi mi hanno detto essere di Bangalore, mi hanno domandato se fossi di Mysore e se potessero chiedermi un'informazione sulla citta'.
Ora, non so se siate mai capitati dalle parti di Mysore, ma vi posso assicurare che il mysorese tipo non ha carnagione chiara, capelli castani ed occhi verdi (come il sottoscritto).
Senza parole.
P.S.: ancora più curioso, per la verità, è che io conoscessi dove si trovava il posto che cercavano e che l’informazione sia stato in grado di darla!