When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we see
Ci sono luoghi in cui la notte e' notte. Il Myanmar e' uno di questi luoghi. Qualcuno potrebbe pensare: ovunque la notte e' notte. Non e' cosi'.
In qualsiasi posto abitiate - a meno che non viviate in mezzo a un fitto
bosco o tra distese di campi di grano - dopo il tramonto potrete uscire di casa e proseguire la vostra vita. Intendo dire, potrete vivere la sera (e la notte), facendo, se volete, molte delle cose che avete fatto o che avreste potuto fare durante la giornata. Potrete lavorare o fare sport o andare a farvi quattro passi, insomma fare, sostanzialmente, quel che vi pare.
E' comprensibile che normalmente non ci si pensi, ma tutto questo e' possibile grazie ad un semplice, elementare presupposto: la luce. C'e' luce. Per le strade, nelle piazze, ovunque andiate, i luoghi che percorrerete saranno, in genere, illuminati. C'e' luce. E dove c'e' luce non c'e' vera "notte" ma un sostanziale, continuo, infinito susseguirsi di "giornate".
Qui non e' cosi'.
L'illuminazione pubblica e', pressoche', inesistente. E non vi sto parlando delle campagne o dei villaggi nelle aree periferiche del paese. Mi riferisco a Yangon, la capitale, ed a Mandalay, la seconda citta' del Myanmar per dimensioni.
Al calar dell'oscurita', le uniche luci che consentano di capire dove ci si trovi sono quelle "private", delle abitazioni, dei negozi, delle bancarelle e dei chioschi, delle case da Te'. Ci si trova a camminare per lunghi tratti completamente immersi nel buio. Ma, dopo un po', ci si adegua, si impara a mettere un piede davanti all'altro nella notte, facendo bene attenzione a non inciampare o, peggio, finire inghiottiti da una delle ampie buche che spesso si aprono lungo i "marciapiedi" (ovviamente e' sempre bene avere con se' una torcia).
Nel buio c'e' un mondo che cammina. Uomini e donne che camminano al vostro fianco o che incrociate lungo la strada. A volte capita di percepirne la presenza solo quando si e' prossimi ad urtarli.
A chi pensasse: "questo e' un folle ed uno sprovveduto, si diletta a passeggiare solo per la citta' a notte fonda; certo non lo compatiremmo se finisse derubato o peggio" desidero semplicemente far presente che qui la "notte" cala, immancabilmente, alle sette di sera. Dunque, non si tratta di fare le "ore piccole"; alle sette il buio cade, spesso e profondo. A volte
con una tale rapidita' da lasciar sorpresi, malgrado non ci sia evento piu' e prevedibile.
Le luci dei luoghi di ritrovo (i "bar", i negozi) appaiono cosi' come isole in un mare di oscurita' ed il tragitto che ci si trova ogni volta a percorrere da un'isola all'altra come una, piu' o meno lunga, traversata.
Malgrado questa situazione, non capita sostanzialmente mai di sentirsi a "disagio", inquieti, insicuri. Dopo un primo, necessario, "adattamento", muoversi al buio diventa cosa normale.
La situazione non e' piu' confortante per quanto riguarda la luce - piu' precisamente, in generale, la corrente elettrica - che arriva nelle case.
Anche in questo caso, non mi riferisco ai villaggi in aree del paese in cui la corrente elettrica non c'e' del tutto, ma alle citta', ai centri abitati piu' grandi. La corrente elettrica manca ogni giorno, frequentemente e a lungo.
Cosi', chi ha un'attivita' o semplicemente vuole e puo' permetterselo, deve, necessariamente, affidarsi ad un proprio generatore, per supplire alla cronica mancanza della corrente "concessa" dal "governo".
Lu Maw (in uno dei prossimi post vi raccontero' di chi si tratti), indicando il neon appeso al soffito di casa, ci scherza su: ' Voi americani ed europei siete dei poveracci, avete una sola luce [nota mia: un solo servizio di corrente elettrica]. Noi, qui a Mandalay, invece, abbiamo ben tre luci: quella che, raramente, ci da il governo, quella che dobbiamo comprarci dai cinesi e quella che ci dobbiamo produrre con i generatori. Noi si' che siamo ricchi!".
Nelle serate lunghe e buie, come trascorrono il tempo i giovani, soprattutto nei paesi?
Mi ero ripromesso di evitare in ogni modo pippotti moralizzanti, ma non posso fare a meno di pensare che una certa parte dei nostri giovani, civilizzati e "ricchi" (?), si dedicherebbero con dedizione ad attivita' benemerite, quali, ad esempio, la devastazione dell'arredo urbano e simili.
Chissa' allora questa marmaglia di primitivi cosa combinera'?
Semplice, molti si radunano a gruppi, per strada, a suonare la chitarra e cantare (alcuni in maniera davvero eccellente; prossimamente vi diro' qualcosa anche sulla musica pop birmana; un argomento che, ne sono certo, vi sta particolarmente a cuore!).
Acquisto presso un'agenzia il biglietto di un bus privato per la tratta Yangon - Ngwe Saung (una localita' sulla costa occidentale). Il bus parte alle dieci di sera ed il "servizio" comprende un taxi che passera' a prendermi in albergo per accompagnarmi sino al punto di partenza, una via periferica della citta'.
Il taxista mi dice che verra' alle otto: c'e' traffico, meglio muoversi con largo anticipo. In effetti, alle otto, eccolo, puntuale. Partiamo dall'albergo e - forse perche' incontriamo molto meno traffico di quanto si potesse prevedere; o, piu' probabilmente, perche' questo "largo anticipo" non era cosi' necessario ma il buon taxista voleva semplicemente essere a casa
per cena (si sa, il pappagallo va consumato ben caldo) - insomma, dopo non piu' di mezz'ora
siamo gia' arrivati all'incrocio da cui deve partire il bus; che, per il momento, non si vede. Insomma, si tratta di attendere. L'autista a questo punto mi dice " nessun problema, aspetta pure qui, il bus arrivera', io vado...". Qui. Nel buio. Fiocamente illuminato solo da una delle solite "isole", una casa da Te (l'equivalente di un nostro bar) dall'aria non propriamente rassicurante.
La mia risposta e', molto semplicemente "amico mio, tu stai scherzando... non mi lasci qui, in mezzo alla strada, la sera, al buio, nella periferia della pur rispettabilissima Yangon... e io che faccio? E se il bus non arriva?...".
Al che, il mio buon autista attacca con una catena di no-problem-bus-coming-everything-ok, mi accompagna sino alla casa da Te e mi dice che posso attendere li', in compagnia degli altri avventori (oh mamma...).
A partire da quando mi siedo nel "malfamato baraccio di periferia", accadono, in rapida successione, i seguenti eventi:
- prima ancora che abbia aperto bocca, mi vengono portati the cinese bollente e un vassoio di dolci;
- mi viene chiesto almeno una decina di volte se ho cenato, sto bene, voglio cenare, sto bene, desidero qualcosa, sto bene, etc.;
- il gestore del bar mi sorveglia ed ogni volta che scruto leggermente preoccupato la strada, per capire quale possa essere il mio bus, si affretta a dirmi "non preoccuparti, ti avviso io, ci sono qui io!";
- si siedono al mio tavolo quattro o cinque birmani i quali - dopo avermi offerto sigarette (che non posso rifiutare) - mi tengono compagnia, chiacchierando in un misto di birmano e inglese (a quel punto io adotto un misto di italiano e inglese; tanto alla fine ci si capisce). Constato con piacere che anche qui il cervello maschile adotta un sistema logico-binario: gli argomenti di conversazione prevalenti sono donne e calcio (giuro). Ad uno che sostiene le thailandesi siano meglio delle birmane (un po' come se noi dicessimo che son meglio le francesi), cerco di far capire che non e' cosi', ci son pure delle birmane molto valide; ma, si sa, "the grass is always greener on the other side of the fence";
- quando finalmente il bus arriva, non posso dubitare sia proprio il "mio", dato che un manipolo dei miei nuovi amici si alzano di scatto e si sbracciano verso l'autista per avvisarlo della mia presenza;
- mi alzo anch'io ed appena faccio il gesto di tirar fuori il portafoglio per pagare, il titolare mi blocca e mi dice che non devo nulla: hanno offerto i miei compagni di tavolata, io sono un "ospite" (anche questa volta, giuro);
- il gruppo che si e' prefisso il compito di garantire la mia gioiosa e sicura partenza si disperde, tra reciproci saluti, solo quando si e' assicurato che io abbia preso posto e lo zaino sia stato caricato sul bus.
Dunque... perdonate, non vorrei apparire "didascalico" ma dall'episodio che vi ho appena riferito mi vien davvero naturale trarre qualche conclusione.
Da queste parti manca la corrente elettrica e l'acqua non arriva nelle case. Insomma, molte cose non funzionano. Ma, a volte, mi viene da pensare che, forse, anche dalle nostre parti ci
sia qualcosa che "non funziona"...
O no?
P.S.: per semplicita', ho indicato Yangon come "la capitale". In realta' non e' piu' cosi'. Una mattina di quattro anni fa circa, i generali, dopo una ricca colazione, hanno deciso di trasferire la capitale in una piccola cittadina sulla strada tra Taungoo e Kalaw, ribattezzata Naypyidaw. Tutto e' stato fatto molto rapidamente, dato che qui non occorre affrontare inconvenienti del tipo, che so, ad esempio, domandare alle gente cosa ne pensi. Mentre percorriamo la strada a tarda sera, in prossimita' di Taungoo, incrociamo un paio di vie nuovissime e gigantesche, illuminate a giorno da decine di lampioni. L'autista mi dice " sono le strade che portano alla nuova capitale, li' vivono quelli del 'governo', li' la luce c'e' 24 ore su 24".
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1 commento:
Donne e calcio! Ahahah, mi ricorda leggermente un posto che frequento anch'io...
Buon viaggio Edo e a presto!
Cristiano (dal Burkina Faso)
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