FINE
Il 7 settembre 2010 Edo è tornato a Torino.
Dopo aver guardato per un po’ il giardino di casa dalla finestra, ha cominciato a svuotare lo zaino.
Vi abbraccio.
- - -
ITINERARIO
Edo ha camminato da queste parti:
ITALIA
10/4 San Benigno Canavese - Malpensa - Bangkok
MYANMAR (BIRMANIA)
11/4 Bangkok - Yangon
12/4 Yangon
13/4 Yangon - Bago - Kyaikhtiyo
14/4 Kyaikhtiyo - Taunggyi
15/4 Taunggyi - Kalaw
16/4 Kalaw - Shan Mountains
17/4 Shan Mountains - Inle Lake
18/4 Inle Lake
19/4 Inle Lake
20/4 Inle Lake - Pindaya - Kalaw
21/4 Kalaw - Mandalay
22/4 Mandalay - Inwa - Amarapura - Sagaing
23/4 Mandalay - Mingun
24/4 Mandalay - Bagan
25/4 Bagan
26/4 Bagan
27/4 Bagan
28/4 Bagan - Pope
29/4 Bagan - Taunggyi
30/4 Taunggyi - Yangon
31/4 Yangon - Ngwe Saung
1/5 Ngwe Saung
2/5 Ngwe Saung
3/5 Ngwe Saung - Yangon
4/5 Yangon
THAILANDIA
5/5 Yangon - Bangkok
6/5 Bangkok
7/5 Bangkok
8/5 Bangkok
9/5 Bangkok - Trang
10/5 Trang - Krabi
11/5 Krabi - Ko Phi Phi
12/5 Ko Phi Phi
13/5 Ko Phi Phi - Krabi - Railay
14/5 Railay
15/5 Railay - Ao Nang - Bangkok
16/5 Bangkok - Chonburi
17/5 Chonburi - Ko Si Chang
18/5 Chonburi - Bangkok - Buriram
19/5 Buriram - Phanom Rung
20/5 Buriram - Lomsak
21/5 Lomsak
22/5 Lomsak - Phasorn Kaew
23/5 Lomsak
24/5 Lomsak - Sukhothai
25/5 Sukhothai
26/5 Sukhothai - Nakhon Ratchasima
27/5 Nakhon Ratchasima - Pak Chong - Khao Yai
28/5 Khao Yai
29/5 Khao Yai - Pak Chong - Bangkok
30/5 Bangkok - Jomtien
31/5 Jomtien
1/6 Jomtien
2/6 Jomtien - Ubon Ratchathani
LAOS
3/6 Ubon Ratchathani - Pakse
4/6 Pakse - Champusak
5/6 Pakse - Paksong - Tat Fan
6/6 Paksong - Tat Fan - Tat Yuang
7/6 Paksong - Sekong - Nam Tok Katamtok
8/6 Paksong - Pakse
9/6 Paksong - Don Khong
10/6 Don Khong - Don Det - Don Khon
11/6 Don Khong
12/6 Don Khong - Paksong - Tha Khaek
13/6 Tha Khaek - Ban Khun Kham
14/6 Ban Khun Kham - Tham Kong Lo
15/6 Ban Khun Kham - Vientiane
16/6 Vientiane
17/6 Vientiane - Vang Vieng
18/6 Vang Vieng
19/6 Vang Vieng
20/6 Vang Vieng - Luang Prabang
21/6 Luang Prabang
22/6 Luang Prabang
23/6 Luang Prabang
24/6 Luang Prabang
25/6 Luang Prabang
26/6 Luang Prabang
27/6 Luang Prabang - Tat Kuang Si
28/6 Luang Prabang
29/6 Luang Prabang - Pak Mong
30/6 Pak Mong - Huay Xay
1/7 Huay Xay - Bokeo
2/7 Bokeo
3/7 Bokeo - Luang Nam Tha
4/7 Luang Nam Tha - Nong Khiaw
5/7 Nong Khiaw
6/7 Nong Khiaw - Sam Neua
7/7 Sam Neua - Vieng Xai
8/7 Vieng Xai
VIETNAM
9/7 Vieng Xai - Thanh Hoa
10/7 Thanh Hoa - Hanoi
11/7 Hanoi
12/7 Hanoi - Halong Bay
13/7 Halong Bay
14/7 Halong Bay - Hanoi
15/7 Hanoi
16/7 Hanoi - Sapa
17/7 Sapa
18/7 Sapa
19/7 Sapa - Hanoi
20/7 Hanoi
21/7 Hanoi - Hue'
22/7 Hue'
23/7 Hue'
24/7 Hue' - Thien Mu - Imperial Tombs
25/7 Hue' - Hoi An
26/7 Hoi An
27/7 Hoi An
28/7 Hoi An - My Son
29/7 Hoi An - Quy Nhon
30/7 Quy Nhon - Saigon
31/7 Saigon
1/8 Saigon - Mytho
2/8 Mytho
3/8 Mytho - Can Tho
4/8 Can Tho - Rach Gia
5/8 Rach Gia - Phu Quoc
6/8 Phu Quoc
7/8 Phu Quoc - Mytho
8/8 Mytho - Saigon
MALESIA
9/8 Saigon - Kuala Lumpur (volo)
10/8 Kuala Lumpur
11/8 Kuala Lumpur
12/8 Kuala Lumpur
13/8 Kuala Lumpur - Melaka
14/8 Melaka
15/8 Melaka
16/8 Melaka
17/8 Melaka - Pulau Tioman
18/8 Pulau Tioman
19/8 Pulau Tioman
20/8 Pulau Tioman - Kuala Lumpur
21/8 Kuala Lumpur - Cameron Highlands
22/8 Cameron Highlands
23/8 Cameron Highlands - Penang
24/8 Penang
25/8 Penang
26/8 Penang - Pulau Perhentian
27/8 Pulau Perhentian
28/8 Pulau Perhentian - Kota Bharu
29/8 Kota Bharu - Jerantut - Taman Negara
30/8 Taman Negara
31/8 Taman Negara - Kuala Lumpur
1/9 Kuala Lumpur
2/9 Kuala Lumpur
3/9 Kuala Lumpur
THAILANDIA
4/9 Kuala Lumpur - Bangkok (volo)
5/9 Bangkok
6/9 Bangkok
ITALIA
7/9 Bangkok - Malpensa - San Benigno Canavese
- - -
INDICE
Post pubblicati:
1. YANGON CALLING
2. CENSURA E TECNICHE DI AGGIRAMENTO
3. RISCHI DEL VIAGGIARE: THINGUN!
4. ATTENTI A QUEI DUE: THE FOOD THAT SHOULDN'T EAT TOGETHER
5. ON LINE
6. DOVE LA NOTTE E' NOTTE
7. "ALCUNI PICCOLI CURIOSI FATTI SPARSI". EPISODIO UNO: Babele, non ti temo!
8. CURVA SUD (EST ASIATICO)
9. EDO TRA I BAFFI
10. "ALCUNI PICCOLI CURIOSI FATTI SPARSI". EPISODIO DUE: Quello che non c'è
11. FRATELLO, DOVE SEI?
12. L'AMORE AI TEMPI DEL TELEFONINO
13. WHERE ARE YOU GOING?
14. VIAGGIATORI A LUNGA SCADENZA. PARTE PRIMA
15. “ALCUNI PICCOLI CURIOSI FATTI SPARSI”. EPISODIO TRE: Torna ad Hoi An
16. VIAGGIATORI A LUNGA SCADENZA. PARTE SECONDA
17. VIAGGIATORI A LUNGA SCADENZA. PARTE TERZA.
18. LETTERA AI MIEI AMICI E CONOSCENTI PER QUANDO FARO' RITORNO
19. PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE PRIMA
20. PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE SECONDA
21. PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE: Ops, una dimenticanza!
22. PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE TERZA
23. GUERRE INVISIBILI
24. E NEL SOGNO STRINGO I PUGNI, TENGO FERMO IL RESPIRO E STO AD ASCOLTARE
25. FINE. ITINERARIO. INDICE. RINGRAZIAMENTI
- - -
RINGRAZIAMENTI.
Un ringraziamento unico, speciale, irripetibile ad Isabella e Giorgio.
Grandi Persone, grandi Viaggiatori.
Per avermi trasmesso l’amore per il Viaggio. Per aver capito.
Un ringraziamento particolare a Kelly: per il prezioso aiuto con il lavoro in studio; per “In Asia” di Tiziano Terzani; per gli utili consigli sul Myanmar.
Un grande ringraziamento a:
Alessandro, Anne-Catherine, Bruno, Carlo, Clemence, Ewa, Gianni, Ivy, Kanjana, Marco, Michela, Mr Coffee, Nhung, Nongnuch, Nuria, Peak, Peng, Ralph, Riccardo, Saeideh e famiglia, Serena, Sirida, Tarynn, Tien e famiglia, Tzu, Flo, Vy, Wayne, Yanisa.
Infine, grazie a tutti i “viaggiatori viaggianti” con cui ho condiviso giornate, serate, escursioni tra le montagne, partite a carte, birre, percorsi, tragitti, informazioni, consigli, parole, risate, sogni.
giovedì 9 settembre 2010
E NEL SOGNO STRINGO I PUGNI, TENGO FERMO IL RESPIRO E STO AD ASCOLTARE
Tutto quello che possediamo è destinato a consumarsi, alterarsi, sbiadire, invecchiare, scomparire.
I vestiti che indossiamo, l’auto che guidiamo.
Tutto ciò che abbiamo può andare perduto, può esserci sottratto, può cadere, fuggire.
Potrebbero cancellare, annullare, seppellire, tutto quello che abbiamo.
Ma i ricordi.
I ricordi dei viaggi, delle terre che abbiamo attraversato, dei colori, degli odori.
Quelli non scompariranno, mai.
Non andranno perduti. Nessuno potrà sottrarceli, annullarli, cancellarli.
Potranno imprigionarci, incatenarci, denudarci, ma nessuno potrà strapparceli, i ricordi.
La notte, al buio, poco prima di dormire, potremo tornare a percorrere i vicoli stretti ed odorosi di Bombay. Saremo di nuovo in cima al tempio di Buledi, a farci togliere il fiato dal tramonto che brucia la valle di Bagan. Attraverseremo ancora le acque calme del Mekong per raggiungere il palazzo reale di Luang Prabang. Taglieremo ancora la calda notte di Saigon in sella a un motorino, cammineremo di nuovo lungo le mura di Angkor, torneremo ad esplorare le grotte di Ellora.
Rivedremo ancora tutti quei volti, quei sorrisi.
Torneremo ancora a cercare un sentiero, quel sentiero, che, lo sappiamo, in fondo non c’è.
Perché siamo viaggiatori ed i sentieri si fanno camminando.
P.S.: il mio amato I-pod, in selezione “casuale”, mi ha riproposto una canzone che non ascoltavo da tempo e le cui strofe iniziali mi son parse un “accompagnamento” sonoro molto bello ed indicato per il post che avete appena letto. La canzone è “I treni a vapore”, di Ivano Fossati, e vi invito ad ascoltarla nella, emozionante, versione “live” contenuta in “Dal vivo - Volume I – Buontempo”:
Io la sera mi addormento
E qualche volta sogno
Perché voglio sognare
E nel sogno stringo i pugni
Tengo fermo il respiro
E sto ad ascoltare
Qualche volta sono gli alberi d’Africa a chiamare
Altre notti sono vele piegate a navigare
Sono uomini e donne e piroscafi e bandiere
Viaggiatori viaggianti da salvare…
I vestiti che indossiamo, l’auto che guidiamo.
Tutto ciò che abbiamo può andare perduto, può esserci sottratto, può cadere, fuggire.
Potrebbero cancellare, annullare, seppellire, tutto quello che abbiamo.
Ma i ricordi.
I ricordi dei viaggi, delle terre che abbiamo attraversato, dei colori, degli odori.
Quelli non scompariranno, mai.
Non andranno perduti. Nessuno potrà sottrarceli, annullarli, cancellarli.
Potranno imprigionarci, incatenarci, denudarci, ma nessuno potrà strapparceli, i ricordi.
La notte, al buio, poco prima di dormire, potremo tornare a percorrere i vicoli stretti ed odorosi di Bombay. Saremo di nuovo in cima al tempio di Buledi, a farci togliere il fiato dal tramonto che brucia la valle di Bagan. Attraverseremo ancora le acque calme del Mekong per raggiungere il palazzo reale di Luang Prabang. Taglieremo ancora la calda notte di Saigon in sella a un motorino, cammineremo di nuovo lungo le mura di Angkor, torneremo ad esplorare le grotte di Ellora.
Rivedremo ancora tutti quei volti, quei sorrisi.
Torneremo ancora a cercare un sentiero, quel sentiero, che, lo sappiamo, in fondo non c’è.
Perché siamo viaggiatori ed i sentieri si fanno camminando.
P.S.: il mio amato I-pod, in selezione “casuale”, mi ha riproposto una canzone che non ascoltavo da tempo e le cui strofe iniziali mi son parse un “accompagnamento” sonoro molto bello ed indicato per il post che avete appena letto. La canzone è “I treni a vapore”, di Ivano Fossati, e vi invito ad ascoltarla nella, emozionante, versione “live” contenuta in “Dal vivo - Volume I – Buontempo”:
Io la sera mi addormento
E qualche volta sogno
Perché voglio sognare
E nel sogno stringo i pugni
Tengo fermo il respiro
E sto ad ascoltare
Qualche volta sono gli alberi d’Africa a chiamare
Altre notti sono vele piegate a navigare
Sono uomini e donne e piroscafi e bandiere
Viaggiatori viaggianti da salvare…
mercoledì 8 settembre 2010
GUERRE INVISIBILI
Dopo quattro mesi sono nuovamente a Bangkok. La prima volta che ci arrivai, agli inizi di maggio, la città era insanguinata dagli scontri tra i dimostranti delle Red Shirts e l’esercito. Ogni sera il notiziario recitava un doloroso bollettino di morti e feriti (negli scontri rimase ucciso anche un reporter italiano, forse ricorderete). La situazione aveva davvero un che di onirico e paradossale: dato che gli scontri erano limitati ai quartieri della metropoli occupati dai dimostranti (in particolare, Siam Square e Silom), poteva capitarvi di girare serenamente per le altre zone della città senza accorgervi di nulla. La televisione trasmetteva immagini di barricate, incendi, violenze e la vita, solo poche vie più in là, proseguiva in apparente, ovattata, normalità. Centri commerciali frequentati come al solito. Starbucks e Mc Donald affollati come al solito. Ogni tanto saliva una colonna di fumo dalle zone occupate. I passanti la osservavano per un momento e poi proseguivano a parlare, camminare, pensare ad un buon film da affittare per la serata. Poteva capitarvi di domandare ad un tassista se ci fosse modo di raggiungere una qualche zona della metropoli e sentirvi rispondere “Si’, certo. Però ti costerà qualche bath in più, devo fare un giro ‘largo’ per arrivarci, sai, in Rama Road stanno combattendo”. Lo diceva con lo stesso tono con cui avrebbe potuto dire “sai, stanno rifacendo il manto stradale”. Poi vennero i giorni del coprifuoco. Non mi trovavo più a Bangkok, ero a nord, tra le montagne che circondano Lomsak. Un altro mondo. A Bangkok ci ripassai proprio l’ultima sera di coprifuoco. La rivolta era stata sedata e che ancora il coprifuoco non fosse stato revocato pareva a molti una formalità burocratica più che un’effettiva necessità. Era un sabato sera, le strade erano gremite di giovani. Alcuni dicevano: “Coprifuoco? Non c’è più, l’hanno tolto, ieri, anzi, un paio di giorni fa, non ricordo bene”. Ad altri che sostenevano: “C’e’ ancora, è l’ultimo giorno, c’è ancora, a partire dalla mezzanotte”, c’era chi rispondeva “L’hanno abbreviato, non sai, inizia all’una di notte o forse alle due”. Tutti ne parlavano come di un qualcosa lontano, opaco, straniero.
P.S.: scritto a Siam Square, Bangkok, il 6 settembre 2010. .
P.S.: scritto a Siam Square, Bangkok, il 6 settembre 2010. .
martedì 7 settembre 2010
PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE TERZA.
(SEGUE)
"Come non parlano laotiano? Non siamo in Laos scusa?".
"Si'. Ma questi parlano solo il loro dialetto" mi risponde il cognato di Mr Coffee.
"E tu? Tu non parli il dialetto".
"Si', il mio. Ma questo e' differente".
"E non capiscono?".
"No. Sanno solo qualche parola di laotiano, non mi capiscono".
Interviene lo svizzero "Dove ci troviamo in questo momento?".
Cognato di Mr Coffee: "In che senso?".
"Dove siamo, come si chiama questo posto?".
"Questo posto non ha un nome. Siamo nella foresta, a parecchi kilometri da Sekong, a precchi kilometri da Attapeu. Punto".
Restiamo tutti in silenzio per un po'. E' curioso: messi insieme, saremmo in grado di parlare o quanto meno di comunicare in una dozzina di lingue. Ma qui non serve. Siamo come muti, in un luogo senza nome (anche i telefoni cellulari non "prendono"; il che per l'uomo contemporaneo sancisce il definitivo distacco dalla societa' civile).
Il silenzio vien rotto da Mr Coffee: "Dobbiamo muoverci e c'e' solo una soluzione: torniamo al villaggio nei pressi di Nam Tok Katamtok; li' sono certo che una sistemazione la troviamo. Ve ne state al villaggio due o tre giorni e quando mi sono procurato l'autorizzazione faccio in modo di farvi portare alla base dei coreani. Andiamo".
Ci dirigiamo tutti verso l'auto, ad eccezione del ceco, che e' rimasto fermo, ad osservare la foresta. Coffee lo chiama: "Ehi, andiamo al villaggio, va bene? Andiamo, partiamo".
Il ceco si volta come ridestato da un qualche sonno. Risponde, assorto: "Certo, il villaggio, va bene il villaggio, ci andiamo. Ma fatemi stare qui ancora un minuto. Fatemi sedere su questa roccia, solo un minuto ancora, qui. Nel mezzo del nulla, lontano da tutto". Siede e si accende una sigaretta, continuando a guardare i grandi alberi verdi. Subito mi vien da pensare: "Ha detto una cosa molto bella. Non so come sia finito a studiar blatte, ma quest'uomo vale qualcosa".
Nessuno solleva obiezioni, ci sediamo anche noi, ciascuno osserva il proprio pezzo di foresta. Terminato di fumare, il ceco si alza e dice: "Bene, andiamo".
Coffee ora guida piu' velocemente, si capisce che ci tiene a raggiungere Sekong prima che cali il buio. Giunti al villaggio, il cognato di Mr Coffee chiede di parlare con il "sindaco". Trovano un accordo per consentire ai ricercatori di occupare una delle capanne per qualche giorno. Terminata la conversazione, come d'uso, si festeggia l'arrivo di "ospiti" nel villaggio, bevendo del vino di riso, bianco e spesso. Il sapore mi riporta alla mente il vino di riso che che bevetti tra le montagne dello Shan, in Myanmar, quando camminai due giorni tra Kalaw ed il lago Inle. Anche il cognato di Mr Coffee si fermera' al villaggio per questi primi giorni; occorre un interprete e qui parlano laotiano.
Coffee ed io ripartiamo che il sole sta scivolando dietro il tetto della foresta. Quando cade il buio, stiamo ancora percorrendo lo sterrato. In prossimita' del bivio per Sekong incontriamo altri piccoli villaggi. Non c'e' corrente elettrica, solo qualche fuoco acceso. Anche qui, isole nel mare della notte. Ci fermiamo a Sekong per mangiare qualcosa, riso e verdura, e bere un paio di Beerlao. Coffee mi racconta pezzi di vita, viaggi, luoghi; mi racconta dell'Asia, che se l'e' preso.
Raggiungiamo Paksong che e' quasi mezzanotte e devo bussare a lungo perche' l'albergatore si svegli e mi venga ad aprire. Mi rivolge uno sguardo di rimprovero che significa "Ti par questa l'ora di arrivare?". Mi limito a dire "Ero con Coffee" e mi dirigo veloce verso la mia stanza.
La mattina successiva riparto. C'e' un bus per Pakse, mi dicono, ma non si sa bene a che ora passi. Ci si siede e si aspetta. Passera', si fermera', raggiungero' Pakse. Ma prima di andarmene, voglio bermi un ultimo caffe'. Mr Coffee mette la moka sul fuoco e mi domanda "Prossima meta?".
"Vado a Si Phan Don".
"Bello, giusto, vacci".
Terminato il caffe', prendo il portafoglio e tiro fuori una manciata di Kip, per pagare.
"Non ho il resto da darti. Me lo paghi la prossima volta".
"Coffee, sinceramente, non credo che mi capitera' a breve di di ripassare a Paksong".
"E chi lo sa? Magari ci ripassi. Il caffe' e' buono, no?".
"Gia', chi lo sa. Grazie".
Il bus scende veloce, verso Pakse, e mentre guardo dal finestrino il Bolaven passare, mi domando se a Si Phan Don trovero' caffe' altrettanto buono.
P.S.: PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE e' stato scritto a Kuala Lumpur, Malesia.
"Come non parlano laotiano? Non siamo in Laos scusa?".
"Si'. Ma questi parlano solo il loro dialetto" mi risponde il cognato di Mr Coffee.
"E tu? Tu non parli il dialetto".
"Si', il mio. Ma questo e' differente".
"E non capiscono?".
"No. Sanno solo qualche parola di laotiano, non mi capiscono".
Interviene lo svizzero "Dove ci troviamo in questo momento?".
Cognato di Mr Coffee: "In che senso?".
"Dove siamo, come si chiama questo posto?".
"Questo posto non ha un nome. Siamo nella foresta, a parecchi kilometri da Sekong, a precchi kilometri da Attapeu. Punto".
Restiamo tutti in silenzio per un po'. E' curioso: messi insieme, saremmo in grado di parlare o quanto meno di comunicare in una dozzina di lingue. Ma qui non serve. Siamo come muti, in un luogo senza nome (anche i telefoni cellulari non "prendono"; il che per l'uomo contemporaneo sancisce il definitivo distacco dalla societa' civile).
Il silenzio vien rotto da Mr Coffee: "Dobbiamo muoverci e c'e' solo una soluzione: torniamo al villaggio nei pressi di Nam Tok Katamtok; li' sono certo che una sistemazione la troviamo. Ve ne state al villaggio due o tre giorni e quando mi sono procurato l'autorizzazione faccio in modo di farvi portare alla base dei coreani. Andiamo".
Ci dirigiamo tutti verso l'auto, ad eccezione del ceco, che e' rimasto fermo, ad osservare la foresta. Coffee lo chiama: "Ehi, andiamo al villaggio, va bene? Andiamo, partiamo".
Il ceco si volta come ridestato da un qualche sonno. Risponde, assorto: "Certo, il villaggio, va bene il villaggio, ci andiamo. Ma fatemi stare qui ancora un minuto. Fatemi sedere su questa roccia, solo un minuto ancora, qui. Nel mezzo del nulla, lontano da tutto". Siede e si accende una sigaretta, continuando a guardare i grandi alberi verdi. Subito mi vien da pensare: "Ha detto una cosa molto bella. Non so come sia finito a studiar blatte, ma quest'uomo vale qualcosa".
Nessuno solleva obiezioni, ci sediamo anche noi, ciascuno osserva il proprio pezzo di foresta. Terminato di fumare, il ceco si alza e dice: "Bene, andiamo".
Coffee ora guida piu' velocemente, si capisce che ci tiene a raggiungere Sekong prima che cali il buio. Giunti al villaggio, il cognato di Mr Coffee chiede di parlare con il "sindaco". Trovano un accordo per consentire ai ricercatori di occupare una delle capanne per qualche giorno. Terminata la conversazione, come d'uso, si festeggia l'arrivo di "ospiti" nel villaggio, bevendo del vino di riso, bianco e spesso. Il sapore mi riporta alla mente il vino di riso che che bevetti tra le montagne dello Shan, in Myanmar, quando camminai due giorni tra Kalaw ed il lago Inle. Anche il cognato di Mr Coffee si fermera' al villaggio per questi primi giorni; occorre un interprete e qui parlano laotiano.
Coffee ed io ripartiamo che il sole sta scivolando dietro il tetto della foresta. Quando cade il buio, stiamo ancora percorrendo lo sterrato. In prossimita' del bivio per Sekong incontriamo altri piccoli villaggi. Non c'e' corrente elettrica, solo qualche fuoco acceso. Anche qui, isole nel mare della notte. Ci fermiamo a Sekong per mangiare qualcosa, riso e verdura, e bere un paio di Beerlao. Coffee mi racconta pezzi di vita, viaggi, luoghi; mi racconta dell'Asia, che se l'e' preso.
Raggiungiamo Paksong che e' quasi mezzanotte e devo bussare a lungo perche' l'albergatore si svegli e mi venga ad aprire. Mi rivolge uno sguardo di rimprovero che significa "Ti par questa l'ora di arrivare?". Mi limito a dire "Ero con Coffee" e mi dirigo veloce verso la mia stanza.
La mattina successiva riparto. C'e' un bus per Pakse, mi dicono, ma non si sa bene a che ora passi. Ci si siede e si aspetta. Passera', si fermera', raggiungero' Pakse. Ma prima di andarmene, voglio bermi un ultimo caffe'. Mr Coffee mette la moka sul fuoco e mi domanda "Prossima meta?".
"Vado a Si Phan Don".
"Bello, giusto, vacci".
Terminato il caffe', prendo il portafoglio e tiro fuori una manciata di Kip, per pagare.
"Non ho il resto da darti. Me lo paghi la prossima volta".
"Coffee, sinceramente, non credo che mi capitera' a breve di di ripassare a Paksong".
"E chi lo sa? Magari ci ripassi. Il caffe' e' buono, no?".
"Gia', chi lo sa. Grazie".
Il bus scende veloce, verso Pakse, e mentre guardo dal finestrino il Bolaven passare, mi domando se a Si Phan Don trovero' caffe' altrettanto buono.
P.S.: PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE e' stato scritto a Kuala Lumpur, Malesia.
PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE: Ops, una dimenticanza!
Stavo dando una veloce rilettura a PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE
SECONDA, giusto prima di pubblicare il capitolo conclusivo della saga, e mi
sono accorto di aver inavvertitamente (ahime') "saltato" un paio di frasi. Mi
e' ben chiaro che non ci troviamo di fronte a capolavori della letteratura
contemporanea, ma l'omissione mi e' comunque dispiaciuta, piu' che altro
perche' ne risulta in parte compromesso l'importante ruolo svolto dall'amico
Coffee in tutta la vicenda. Dunque, porgendovi le mie scuse per l'accaduto, ho
infine deciso di riportare qui di seguito la piccola parte mancante, che deve
intendersi inserita subito dopo il terz'ultimo capoverso (ovvero tra le parole
"...due o tre giorni per procurarsela" e "Dunque, salutiamo..."):
"Questo e' il piano: per lo svizzero ed il ceco tornarsene sino a Pakse e
curare gli aspetti burocratici della vicenda costituirebbe un imperdonabile
spreco di tempo; ora che nella loro amata foresta ci sono arrivati, ci vogliono
ben restare. L'ideale sarebbe, dunque, trovare un posto nei dintorni della
base, dove trattenersi per due o tre giorni, in attesa che una persona di
fiducia si occupi di ottenere l'autorizzazione e di farla aver loro. In sintesi: altro lavoro per Mr Coffee (confido il buon Coffee si faccia generosamente remunerare per tutte queste attivita'; non mi pare persona adatta a gran sforzi e comincio ad essere sinceramente preoccupato per la sua salute!).
SECONDA, giusto prima di pubblicare il capitolo conclusivo della saga, e mi
sono accorto di aver inavvertitamente (ahime') "saltato" un paio di frasi. Mi
e' ben chiaro che non ci troviamo di fronte a capolavori della letteratura
contemporanea, ma l'omissione mi e' comunque dispiaciuta, piu' che altro
perche' ne risulta in parte compromesso l'importante ruolo svolto dall'amico
Coffee in tutta la vicenda. Dunque, porgendovi le mie scuse per l'accaduto, ho
infine deciso di riportare qui di seguito la piccola parte mancante, che deve
intendersi inserita subito dopo il terz'ultimo capoverso (ovvero tra le parole
"...due o tre giorni per procurarsela" e "Dunque, salutiamo..."):
"Questo e' il piano: per lo svizzero ed il ceco tornarsene sino a Pakse e
curare gli aspetti burocratici della vicenda costituirebbe un imperdonabile
spreco di tempo; ora che nella loro amata foresta ci sono arrivati, ci vogliono
ben restare. L'ideale sarebbe, dunque, trovare un posto nei dintorni della
base, dove trattenersi per due o tre giorni, in attesa che una persona di
fiducia si occupi di ottenere l'autorizzazione e di farla aver loro. In sintesi: altro lavoro per Mr Coffee (confido il buon Coffee si faccia generosamente remunerare per tutte queste attivita'; non mi pare persona adatta a gran sforzi e comincio ad essere sinceramente preoccupato per la sua salute!).
domenica 5 settembre 2010
PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE SECONDA.
(SEGUE)
Dunque, la mattina seguente sono li', puntuale, davanti al bar di Mr Coffee.
Dopo qualche minuto arrivano anche i due ricercatori, trascinando delle
grandi borse cariche di bottiglie d'acqua, pane ed altri viveri. Facciamo quattro
chiacchiere in attesa di Mr Coffee. Son brave persone, nulla da eccepire, ma
non posso negarvi che mantengo qualche riserva quanto a socializzazione con
gente che si diletta a studiar scarafaggi.
Comunque, e' gia' un po' che ce ne stiamo li' a parlare e l'amico Coffee non
si vede. Quando e' trascorso un buon lasso di tempo, la moglie, che ho
conosciuto la sera precedente, compare da una finestra e ci rivolge un
cenno come a dire "sta arrivando". Passa altro tempo. Intorno alle sette e
tre quarti, Mr Coffee finalmente si manifesta. Fa dei gran sbadigli, si
stiracchia e ci guarda con l'espressione di chi sta pensando "Son gia' qui? Era per
oggi? In che paese mi trovo?" o qualcosa del genere. Quindi, esordisce con un pezzo
forte del suo repertorio: "Facciamoci un caffe'".
Insomma, tra attesa, chiacchiere e lenta degustazione del caffe' - al quale
Mr Coffee accompagna le prime tre o quattro sigarette della mattinata - ci troviamo a partire con un paio d'ore di ritardo rispetto a quel che si era stabilito (verrebbe da pensare "chi ben comincia..."). Prendiamo dunque posto sullo
sgangheratissimo (come avrebbe potuto essere altrimenti) fuoristrada di Mr
Coffee. Composizione del team:
- in cabina di pilotaggio, al posto di guida, Mr Coffee: jeans sdruciti, maglietta dei Ramones, occhialoni da sole modello "Paura e delirio a Las Vegas" ed immancabile sigaretta in bocca;
- in mezzo (accanto al guidatore ci sono altri due posti a sedere), scienziato
svizzero: cappellino con scritta "I love Vietnam", camicia a quadretti colorati, pantaloncini verde militare da esploratore, sorriso ebete;
- sulla destra, Edo: lo conoscete, non mi soffermo sui particolari;
- nel retro (il fuoristrada ha solo tre posti, la parte posteriore e' un cassone aperto), tra zaini, borse e sacchi, scienziato ceco (per chi non avesse letto con attenzione il post precedente, ribadisco che ci vede benissimo): ampio camicione
verde multitasche, pantaloni Northsails palesemente taroccati, acne diffusa malgrado il superamento della fase adolescenziale risalga a parecchi anni addietro;
- sempre nel retro, cognato di Mr Coffee, un ragazzo laotiano che fungera' da
interprete con gli abitanti dei villaggi e che, cosa piuttosto rara da queste parti, parla anche un eccellente inglese: in definitiva, l'unico normale del gruppo.
La strada sino a Sekong, che in effetti e' in buone condizioni, fiancheggia lunghi tratti di foresta ed attraversa qualche raro, minuscolo, centro abitato. I bambini ci guardano passare. Dopo circa un'ora di viaggio ci fermiamo a comprare altra acqua ed a goderci un po' il panorama. Ne approfitto per domandare a Mr Coffee:
"Mr, senti, e' vero che e' cosi' complicato trovarla Nam Tok Katamtok; intendo, che
non e' segnalata ed occorre indovinare il sentiero giusto?".
"Ah, non saprei...".
"Come 'non saprei'... scusa Coffee, ma tu quante volte ci sei stato?".
"Io? Mai".
"Andiamo bene, ma tu non saresti la guida scusa?"
"Si', ma tranquillo, la troviamo, mio cognato ci sa arrivare (mi ha detto); magari giriamo un po' ma la troviamo".
"Se lo dici te. Permettimi un'ultima domanda... ma tu da quanto vivi a Paksong?".
"Due anni e mezzo".
"Due anni e mezzo? E non t'e' mai venuta la curiosita' di fare un salto a vederla la cascata?".
"Si', ma sai... E' che sono un tipo un po' pigro".
Qualche kilometro dopo Sekong raggiungiamo finalmente il bivio. La strada asfaltata prosegue dritta, verso Attapeu; lo sterrato sulla destra buca il muro della foresta. Il cognato di Mr Coffee fa un cenno con la testa: e' quella la via per Nam Tok Katamtok. Cosi', iniziamo a percorrere lo sterrato, tra gran sobbalzi e imprecazioni. Come per ogni "caccia al tesoro" che si rispetti, abbiamo anche noi le nostre tracce da seguire: occorre superare tre ponti; poco dopo il terzo ponte la strada dovrebbe cominciare a farsi ripida, dato che bisogna oltrepassare una collina prima di giungere al fantomatico sentiero; infine, il sentiero, angusto ed avvolto dalla boscaglia, dovrebbe intravvedersi sul lato sinistra della carreggiata. Procediamo ed ogni volta che ci imbattiamo in uno degli indizi, tutti insieme, come a confortarci l'un l'altro, esclamiamo a gran voce "ci siamo, giusto, avanti!". Eccolo: "first bridge, you see". Ci sono anche il secondo ed il terzo ponte. E la collina, il fuoristrada comincia a salire. Nel ridiscendere a valle abbiamo tutti lo
sguardo volto alla nostra sinistra (anche Mr Coffee, che sta guidando; il che
francamente mi suscita qualche apprensione), nel tentativo di individuare il
famigerato sentiero. Siam tutti cosi' seri e concentrati, silenziosi, come non
volessimo che un qualche nemico avvertisse la nostra presenza. Solo lo svizzero ogni tanto sibila "dovremmo esserci quasi, dovremmo esserci". Ci allontaniamo dalla collina e gia' comincia a serpeggiare il malumore in seno alla truppa, quando il giovane laotiano si mette a battere sul vetro ed indicare, appunto, alla propria sinistra. Il sentiero. Un sentiero, in effetti, c'e'. Che questo sentiero sia IL sentiero, vai poi a saperlo. Quel che e' certo e' che la cascata, da qui, non si vede. Coffee ha fermato il fuoristrada e dice "proviamo". Gira la chiave e spegne il rumorosissimo, affaticato, motore. E nel momento in cui il motore cessa finalmente di urlare, la udiamo. La voce, la voce di Nam Tok Katamtok. Possente, penetra nella foresta, attraversa il muro fitto della vegetazione, riempe l'aria, giunge sino alla strada, ci chiama. "Ci siamo".
Percorriamo a piedi il sentiero (per fortuna non c'e' stata pioggia e le sanguisughe dovrebbero starsene buone), seguendo la voce, che si fa sempre piu'
netta e viva. Il sentiero buio termina in una luminosa radura. E la radura e' come una grande terrazza, oltre la quale la terra precipita in una valle stretta e profonda. E sull'altro versante della valle, proprio di fronte a noi, Nam Tok Katamtok. Maestosa. L'acqua, se ne segui il percorso con gli occhi, sembra cadere cosi' lentamente, per poi spaccarsi contro le rocce. E poi altra acqua, ce ne stiamo li' a fare questo giochino visivo per un po'. Scattiamo un sacco di foto che non serviranno a niente, perche' ci son cose difficili da catturare, bisogna esserci. Ci mangiamo qualche manciata di rambutan, prima di rimetterci sulla via.
Completata la "fase uno" della missione, ora, come convenuto, si tratta di trovare alloggio per gli studia-blatte. A qualche kilometro dal sentiero per Nam Tok Katamtok, c'e' un primo villaggio; ma i due vogliono addentrarsi ancor piu' nei territori "selvaggi" a nord di Attappeu. Lo svizzero guarda in continuazione il proprio apparecchietto GPS, consulta un'agendina e dice "se potessimo andare ancora un po' ad est...". Dopo il villaggio e' piu' facile incontrare, di tanto in tanto, qualche passante, dato che ci sono delle coltivazioni nei paraggi. Ogni volta, Coffee ferma l'auto ed il cognato domanda se ci siano nei dintorni altri piccoli villaggi o anche solo qualcuno che possa avere una capanna per i due. Proseguiamo, verso est, lo svizzero ed il ceco confabulano tra loro. Ad un bivio, ci fermiamo nuovamente. Il cognato di Mr Coffee (povero ragazzo, un po' mi spiace ridurlo sempre e solo al ruolo di "cognato di Mr Coffee", ma davvero non ricordo come accidenti si chiamasse) parla con un contadino. Poi ci riferisce: "possiamo andare ancora un poco a est ma c'e' solo piu' la ex base dei coreani, la strada finisce li'". Lo svizzero
interviene giulivo: "andiamoci, potrebbe essere un buon posto per sistemarci".
Un "buon posto"? Ragazzi, e' proprio vero che tutto e' relativo; quando ci arriviamo, alla base dei coreani, a me pare semplicemente il posto piu' infelice della terra. Quella che definiscono "base", in realta' e' un ex cantiere per estrazioni minerarie (o almeno questo e' cio' che si dice) di proprieta' di una grande impresa sud coreana. Il cantiere e l'area dove vennero costruiti e tuttora si trovano i fabbricati per l'alloggiamento degli operai ed il ricovero delle attrezzature sono immensi. Malgrado il cantiere sia chiuso da molto tempo la zona e' recintata e sorvegliata da "guardiani" che vivono all'interno del campo. Tutto e’ in uno stato di desolante, inquietante, abbandono. I guardiani oziano su delle amache appese di fronte all’arruginito cancello d’ingresso. Rivolgo un’occhiata interrogativa allo svizzero ed al ceco e non riesco a trattenermi dal domandare “Davvero vorreste star qui?”. Lo svizzero mi risponde entusiasta “Oh si’, e’ grandioso!” e mi mostra il taccuino che non ha smesso di consultare da quando abbiamo oltrepassato il villaggio. Mi spiega che sull’agenda sono riportati gli appunti di un noto ricercatore (per quanto possa essere noto uno studia-blatte, s’intende) il quale, una decina d’anni orsono, si reco’ in queste stesse zone ed annoto’ gli estremi longitudolatitudinali dell’area in cui si trovano le rare specie che i nostri favoleggiano di studiare. Ebbene, GPS alla mano, gli estremi corrispondono esattamente al punto in cui ci troviamo ora, la “base dei coreani”. Adesso che lo so, un poco avverto l’emozione anch’io (n.d.r: sto scherzando eh).
Il cognate di Mr Coffee deve ripetere almeno quattro volte ai guardiani che stiamo cercando alloggio e che la base sarebbe perfetta. Non e’ che non capiscano; semplicemente, non riescono a capacitarsene. Uno dei guardiani mi fissa con l’espressione di chi vorrebbe domandare “perche’ lo fai?”. Inarco le
sopracciglia ed indico con rapidi movimenti del capo alla mia sinistra, in
drirezione dei due scienziati (che se la stanno ridendo tutti contenti), nel
tentativo di far capire che io non c’entro, se c’e’ qualcuno da fissare sono
quei due spostati, io stanotte me ne tornero’ a dormire nel mio confortevole
albergo da cinque dollari, a Paksong.
I guardiani, una volta compreso l’effettivo oggetto della richiesta (si’, e’
proprio cosi’, i due falang pazzi chiedono il permesso di “alloggiare” nella
base per un paio di settimane), si mettono a parlar fitto tra loro. Il caso, in
effetti, richiede un consulto, non accade tutti i giorni di incontrare “turisti" da queste parti; tanto meno turisti che vogliano starsene nella base.
Al termine del confronto, la risposta dei guardiani e’ un distillate di pura,
italica, saggezza: per quanto riguarda loro non ci sono problemi ad aver “ospiti”; ma si tratta di decisioni che solo l’ufficio responsabile puo’ assumere. In conclusione, per entrare nella base i due dovranno dimostrare di aver ottenuto un’autorizzazione da parte dell’ufficio, che ha sede a Pakse. Il parere dei guardiani e’ che l’autorizzazione verra’ data (d’altronde, perche’ non assecondare i propositi di questi simpatici folli) ma ci vorranno due o tre giorni per procurarsela.
Dunque, salutiamo i pur sempre esterefatti guardiani e ci rimettiamo in marcia. Occorre trovare un posto per i due ed a questo punto si tratta di trovarlo rapidamente perche’ non manca molto al tramonto (e l’eventualita’ di vagare per la foresta al buio non suona propriamente allettante).
Ci addentriamo con il fuoristrada lungo un sentiero indicatoci dai guardiani. In lontananza si distinguono alcune capanne, ma la via si e’ fatta stretta e non possiamo proseguire con l’auto. Cosi’, ci fermiamo, il cognato di Mr Coffee
raggiungera’ a piedi le capanne e cerchera’ di negoziare ospitalita’ per i due.
Attendiamo appoggiati ai lati del fuoristrada, ascoltando le voci della foresta. Mr Coffee pulisce le lenti degli occhialoni con la maglietta dei Ramones. Ogni tanto, a turno, sputacchiamo qualche nocciolo di rambutan. Il giovane laotiano nel frattempo ha raggiunto le capanne e lo vediamo parlare con una donna, poi con un uomo, poi con un altro uomo. Mentre parla fa ampi gesti con le mani. Al termine della breve conversazione, accenna un saluto e riprende il sentiero, dirigendosi verso di noi. Tutti speriamo porti buone nuove. Ci raggiunge e dice, semplicemente:
”Questa volta non vi posso aiutare, non parlano laotiano”.
(CONTINUA)
Dunque, la mattina seguente sono li', puntuale, davanti al bar di Mr Coffee.
Dopo qualche minuto arrivano anche i due ricercatori, trascinando delle
grandi borse cariche di bottiglie d'acqua, pane ed altri viveri. Facciamo quattro
chiacchiere in attesa di Mr Coffee. Son brave persone, nulla da eccepire, ma
non posso negarvi che mantengo qualche riserva quanto a socializzazione con
gente che si diletta a studiar scarafaggi.
Comunque, e' gia' un po' che ce ne stiamo li' a parlare e l'amico Coffee non
si vede. Quando e' trascorso un buon lasso di tempo, la moglie, che ho
conosciuto la sera precedente, compare da una finestra e ci rivolge un
cenno come a dire "sta arrivando". Passa altro tempo. Intorno alle sette e
tre quarti, Mr Coffee finalmente si manifesta. Fa dei gran sbadigli, si
stiracchia e ci guarda con l'espressione di chi sta pensando "Son gia' qui? Era per
oggi? In che paese mi trovo?" o qualcosa del genere. Quindi, esordisce con un pezzo
forte del suo repertorio: "Facciamoci un caffe'".
Insomma, tra attesa, chiacchiere e lenta degustazione del caffe' - al quale
Mr Coffee accompagna le prime tre o quattro sigarette della mattinata - ci troviamo a partire con un paio d'ore di ritardo rispetto a quel che si era stabilito (verrebbe da pensare "chi ben comincia..."). Prendiamo dunque posto sullo
sgangheratissimo (come avrebbe potuto essere altrimenti) fuoristrada di Mr
Coffee. Composizione del team:
- in cabina di pilotaggio, al posto di guida, Mr Coffee: jeans sdruciti, maglietta dei Ramones, occhialoni da sole modello "Paura e delirio a Las Vegas" ed immancabile sigaretta in bocca;
- in mezzo (accanto al guidatore ci sono altri due posti a sedere), scienziato
svizzero: cappellino con scritta "I love Vietnam", camicia a quadretti colorati, pantaloncini verde militare da esploratore, sorriso ebete;
- sulla destra, Edo: lo conoscete, non mi soffermo sui particolari;
- nel retro (il fuoristrada ha solo tre posti, la parte posteriore e' un cassone aperto), tra zaini, borse e sacchi, scienziato ceco (per chi non avesse letto con attenzione il post precedente, ribadisco che ci vede benissimo): ampio camicione
verde multitasche, pantaloni Northsails palesemente taroccati, acne diffusa malgrado il superamento della fase adolescenziale risalga a parecchi anni addietro;
- sempre nel retro, cognato di Mr Coffee, un ragazzo laotiano che fungera' da
interprete con gli abitanti dei villaggi e che, cosa piuttosto rara da queste parti, parla anche un eccellente inglese: in definitiva, l'unico normale del gruppo.
La strada sino a Sekong, che in effetti e' in buone condizioni, fiancheggia lunghi tratti di foresta ed attraversa qualche raro, minuscolo, centro abitato. I bambini ci guardano passare. Dopo circa un'ora di viaggio ci fermiamo a comprare altra acqua ed a goderci un po' il panorama. Ne approfitto per domandare a Mr Coffee:
"Mr, senti, e' vero che e' cosi' complicato trovarla Nam Tok Katamtok; intendo, che
non e' segnalata ed occorre indovinare il sentiero giusto?".
"Ah, non saprei...".
"Come 'non saprei'... scusa Coffee, ma tu quante volte ci sei stato?".
"Io? Mai".
"Andiamo bene, ma tu non saresti la guida scusa?"
"Si', ma tranquillo, la troviamo, mio cognato ci sa arrivare (mi ha detto); magari giriamo un po' ma la troviamo".
"Se lo dici te. Permettimi un'ultima domanda... ma tu da quanto vivi a Paksong?".
"Due anni e mezzo".
"Due anni e mezzo? E non t'e' mai venuta la curiosita' di fare un salto a vederla la cascata?".
"Si', ma sai... E' che sono un tipo un po' pigro".
Qualche kilometro dopo Sekong raggiungiamo finalmente il bivio. La strada asfaltata prosegue dritta, verso Attapeu; lo sterrato sulla destra buca il muro della foresta. Il cognato di Mr Coffee fa un cenno con la testa: e' quella la via per Nam Tok Katamtok. Cosi', iniziamo a percorrere lo sterrato, tra gran sobbalzi e imprecazioni. Come per ogni "caccia al tesoro" che si rispetti, abbiamo anche noi le nostre tracce da seguire: occorre superare tre ponti; poco dopo il terzo ponte la strada dovrebbe cominciare a farsi ripida, dato che bisogna oltrepassare una collina prima di giungere al fantomatico sentiero; infine, il sentiero, angusto ed avvolto dalla boscaglia, dovrebbe intravvedersi sul lato sinistra della carreggiata. Procediamo ed ogni volta che ci imbattiamo in uno degli indizi, tutti insieme, come a confortarci l'un l'altro, esclamiamo a gran voce "ci siamo, giusto, avanti!". Eccolo: "first bridge, you see". Ci sono anche il secondo ed il terzo ponte. E la collina, il fuoristrada comincia a salire. Nel ridiscendere a valle abbiamo tutti lo
sguardo volto alla nostra sinistra (anche Mr Coffee, che sta guidando; il che
francamente mi suscita qualche apprensione), nel tentativo di individuare il
famigerato sentiero. Siam tutti cosi' seri e concentrati, silenziosi, come non
volessimo che un qualche nemico avvertisse la nostra presenza. Solo lo svizzero ogni tanto sibila "dovremmo esserci quasi, dovremmo esserci". Ci allontaniamo dalla collina e gia' comincia a serpeggiare il malumore in seno alla truppa, quando il giovane laotiano si mette a battere sul vetro ed indicare, appunto, alla propria sinistra. Il sentiero. Un sentiero, in effetti, c'e'. Che questo sentiero sia IL sentiero, vai poi a saperlo. Quel che e' certo e' che la cascata, da qui, non si vede. Coffee ha fermato il fuoristrada e dice "proviamo". Gira la chiave e spegne il rumorosissimo, affaticato, motore. E nel momento in cui il motore cessa finalmente di urlare, la udiamo. La voce, la voce di Nam Tok Katamtok. Possente, penetra nella foresta, attraversa il muro fitto della vegetazione, riempe l'aria, giunge sino alla strada, ci chiama. "Ci siamo".
Percorriamo a piedi il sentiero (per fortuna non c'e' stata pioggia e le sanguisughe dovrebbero starsene buone), seguendo la voce, che si fa sempre piu'
netta e viva. Il sentiero buio termina in una luminosa radura. E la radura e' come una grande terrazza, oltre la quale la terra precipita in una valle stretta e profonda. E sull'altro versante della valle, proprio di fronte a noi, Nam Tok Katamtok. Maestosa. L'acqua, se ne segui il percorso con gli occhi, sembra cadere cosi' lentamente, per poi spaccarsi contro le rocce. E poi altra acqua, ce ne stiamo li' a fare questo giochino visivo per un po'. Scattiamo un sacco di foto che non serviranno a niente, perche' ci son cose difficili da catturare, bisogna esserci. Ci mangiamo qualche manciata di rambutan, prima di rimetterci sulla via.
Completata la "fase uno" della missione, ora, come convenuto, si tratta di trovare alloggio per gli studia-blatte. A qualche kilometro dal sentiero per Nam Tok Katamtok, c'e' un primo villaggio; ma i due vogliono addentrarsi ancor piu' nei territori "selvaggi" a nord di Attappeu. Lo svizzero guarda in continuazione il proprio apparecchietto GPS, consulta un'agendina e dice "se potessimo andare ancora un po' ad est...". Dopo il villaggio e' piu' facile incontrare, di tanto in tanto, qualche passante, dato che ci sono delle coltivazioni nei paraggi. Ogni volta, Coffee ferma l'auto ed il cognato domanda se ci siano nei dintorni altri piccoli villaggi o anche solo qualcuno che possa avere una capanna per i due. Proseguiamo, verso est, lo svizzero ed il ceco confabulano tra loro. Ad un bivio, ci fermiamo nuovamente. Il cognato di Mr Coffee (povero ragazzo, un po' mi spiace ridurlo sempre e solo al ruolo di "cognato di Mr Coffee", ma davvero non ricordo come accidenti si chiamasse) parla con un contadino. Poi ci riferisce: "possiamo andare ancora un poco a est ma c'e' solo piu' la ex base dei coreani, la strada finisce li'". Lo svizzero
interviene giulivo: "andiamoci, potrebbe essere un buon posto per sistemarci".
Un "buon posto"? Ragazzi, e' proprio vero che tutto e' relativo; quando ci arriviamo, alla base dei coreani, a me pare semplicemente il posto piu' infelice della terra. Quella che definiscono "base", in realta' e' un ex cantiere per estrazioni minerarie (o almeno questo e' cio' che si dice) di proprieta' di una grande impresa sud coreana. Il cantiere e l'area dove vennero costruiti e tuttora si trovano i fabbricati per l'alloggiamento degli operai ed il ricovero delle attrezzature sono immensi. Malgrado il cantiere sia chiuso da molto tempo la zona e' recintata e sorvegliata da "guardiani" che vivono all'interno del campo. Tutto e’ in uno stato di desolante, inquietante, abbandono. I guardiani oziano su delle amache appese di fronte all’arruginito cancello d’ingresso. Rivolgo un’occhiata interrogativa allo svizzero ed al ceco e non riesco a trattenermi dal domandare “Davvero vorreste star qui?”. Lo svizzero mi risponde entusiasta “Oh si’, e’ grandioso!” e mi mostra il taccuino che non ha smesso di consultare da quando abbiamo oltrepassato il villaggio. Mi spiega che sull’agenda sono riportati gli appunti di un noto ricercatore (per quanto possa essere noto uno studia-blatte, s’intende) il quale, una decina d’anni orsono, si reco’ in queste stesse zone ed annoto’ gli estremi longitudolatitudinali dell’area in cui si trovano le rare specie che i nostri favoleggiano di studiare. Ebbene, GPS alla mano, gli estremi corrispondono esattamente al punto in cui ci troviamo ora, la “base dei coreani”. Adesso che lo so, un poco avverto l’emozione anch’io (n.d.r: sto scherzando eh).
Il cognate di Mr Coffee deve ripetere almeno quattro volte ai guardiani che stiamo cercando alloggio e che la base sarebbe perfetta. Non e’ che non capiscano; semplicemente, non riescono a capacitarsene. Uno dei guardiani mi fissa con l’espressione di chi vorrebbe domandare “perche’ lo fai?”. Inarco le
sopracciglia ed indico con rapidi movimenti del capo alla mia sinistra, in
drirezione dei due scienziati (che se la stanno ridendo tutti contenti), nel
tentativo di far capire che io non c’entro, se c’e’ qualcuno da fissare sono
quei due spostati, io stanotte me ne tornero’ a dormire nel mio confortevole
albergo da cinque dollari, a Paksong.
I guardiani, una volta compreso l’effettivo oggetto della richiesta (si’, e’
proprio cosi’, i due falang pazzi chiedono il permesso di “alloggiare” nella
base per un paio di settimane), si mettono a parlar fitto tra loro. Il caso, in
effetti, richiede un consulto, non accade tutti i giorni di incontrare “turisti" da queste parti; tanto meno turisti che vogliano starsene nella base.
Al termine del confronto, la risposta dei guardiani e’ un distillate di pura,
italica, saggezza: per quanto riguarda loro non ci sono problemi ad aver “ospiti”; ma si tratta di decisioni che solo l’ufficio responsabile puo’ assumere. In conclusione, per entrare nella base i due dovranno dimostrare di aver ottenuto un’autorizzazione da parte dell’ufficio, che ha sede a Pakse. Il parere dei guardiani e’ che l’autorizzazione verra’ data (d’altronde, perche’ non assecondare i propositi di questi simpatici folli) ma ci vorranno due o tre giorni per procurarsela.
Dunque, salutiamo i pur sempre esterefatti guardiani e ci rimettiamo in marcia. Occorre trovare un posto per i due ed a questo punto si tratta di trovarlo rapidamente perche’ non manca molto al tramonto (e l’eventualita’ di vagare per la foresta al buio non suona propriamente allettante).
Ci addentriamo con il fuoristrada lungo un sentiero indicatoci dai guardiani. In lontananza si distinguono alcune capanne, ma la via si e’ fatta stretta e non possiamo proseguire con l’auto. Cosi’, ci fermiamo, il cognato di Mr Coffee
raggiungera’ a piedi le capanne e cerchera’ di negoziare ospitalita’ per i due.
Attendiamo appoggiati ai lati del fuoristrada, ascoltando le voci della foresta. Mr Coffee pulisce le lenti degli occhialoni con la maglietta dei Ramones. Ogni tanto, a turno, sputacchiamo qualche nocciolo di rambutan. Il giovane laotiano nel frattempo ha raggiunto le capanne e lo vediamo parlare con una donna, poi con un uomo, poi con un altro uomo. Mentre parla fa ampi gesti con le mani. Al termine della breve conversazione, accenna un saluto e riprende il sentiero, dirigendosi verso di noi. Tutti speriamo porti buone nuove. Ci raggiunge e dice, semplicemente:
”Questa volta non vi posso aiutare, non parlano laotiano”.
(CONTINUA)
martedì 31 agosto 2010
PERFECT DAY IN THE MIDDLE OF NOWHERE. PARTE PRIMA.
Non c’e’ regola che non subisca eccezione, si sa. Dunque - malgrado proprio
nell’ultimo post avessi proclamato che in genere non ritengo interessante per il “lettore” descrivere i luoghi che visito o come trascorro il tempo – oggi vi parlero’di una giornata di viaggio. Semplicemente, ho pensato di raccontarvela perche’credo rappresenti davvero bene quello che intendo come autentico, profondo, spirito del "Viaggio".
Giusto per collocare gli avvenimenti nel tempo, la giornata risale a circa tre mesi fa, quando ero appena giunto nel Laos meridionale.
Dunque, a Pakse una mattina me ne vado alla stazione intenzionato a prendere un bus locale per Si Phan Don (le "quattromila isole sul Mekong"; chi fosse interessato, potra' dare un'occhiata su un motore di ricerca). Ma il bus, mi dicono, non c'e'.
“Scusi, non e’ questa la stazione dei bus?”.
“Si’. Ma di bus per Si Phan Don ce n’e’ solo uno al giorno, in prima mattinata. Partito”.
“Ahi. Ed io adesso a Si Phan Don come ci arrivo?”.
“Con uno di quelli”. E mi indica una fila di sawngthaew in attesa (come ho detto altre volte, si tratta di camioncini “riadattati” a trasporto persone, su cui in genere ci si comprime tra sacchi di riso, mercanzie varie, animali da cortile ed altre anime penitenti che devono intraprendere il medesimo viaggio, seduti su non propriamente confortevoli panche di duro legno).
Gesu’. “Quanto ci mette il sawngthaew ad arrivare a Si Phan Don?”.
“Quattro ore”. Il che, siccome il Laos non e’ proprio la Svizzera, sta a voler dire almeno sei ore.
Schiena (e fondoschiena) prontamente si ribellano: “Noi su quel coso oggi non ci saliamo!”.
Ed ora che si fa? Domando: “Dove e’ diretto il prossimo bus in partenza?”.
“A Paksong”.
“Bene, un biglietto per Paksong”.
Dopo circa un’ora e mezza, l’autista mi fa capire che ci siamo arrivati, a Paksong, e mi scarica in mezzo ad una strada lunga e polverosa, su cui si affaccia qualche raro edificio.
Ad un tale che se ne sta li’ seduto su una panchina e mi dice “hello” domando "Da che parte devo andare per il centro (della citta’)?”.
Risponde: “Questo e’ il centro”.
Ah. Immagino che Paksong non figuri nella classifica delle citta’ piu’ animate della terra.
“E un posto dove dormire, un albergo, dove lo trovo?”.
“Ce l’ho io l'albergo”.
Questo tipo non sara’ di molte parole ma comincia a piacermi.
“Bene. E nel tuo albergo quanto costa una stanza?”.
“Cinque dollari”.
“Mi sembra ragionevole. Andiamo, mostrami questo Sheraton.
Beninteso, Paksong non e’ il posto che consiglierei a chi voglia far shopping sfrenato o darsi alla vita notturna, ma tutta l’area circostante – l’Altopiano del Bolaven – e’ davvero bellissima. Vaste distese di foresta primaria, cascate che precipitano spumeggianti in profondissime vallate ed un clima piacevolemente fresco, grazie all’altitudine.
Dopo un paio di giorni, visto che la zona tutt’intorno l’ho visitata, mi viene il desiderio di andare piu’in la’, allontanarmi ancora dall'itinerario a cui avevo originariamente pensato. Voglio raggiungere "Nam Tok Katamtok".
La guida "Lonely Planet" (al di la' di cio' che possano dire quelli che vogliono sempre differenziarsi, tuttora la miglior guida a disposizione del viaggiatore indipendente) cosi' descrive Nam Tok Katamtok: "una sbalorditiva cascata con un salto di 120 metri situata in una giungla fitta e remota" aggiungendo che si tratta della "cascata piu' spettacolare del Laos, anche perche' per trovarla bisogna essere quasi degli esploratori". La cascata si trova tra le "aspre e remote province di Sekong e Attapeu, che costituiscono il selvaggio est del Laos".
Cosi', domando al mio buon amico albergatore (dal quale alla fine ho soggiornato per quattro giorni): "Come ci arrivo a Nam Tok Katamtok, c'e' un bus?".
"No. Per la verita' non c'e' neppure la strada".
"Ma ci sara' pure un modo. Il tizio che l'ha scritto sulla Lonely, a meno che non sia un gran buontempone, ci dovra' essere arrivato".
"Forse puoi trovare qualcuno che ti ci porti con un fuoristrada. Ma non so, e' difficile. In ogni caso, considerato che tra Paksong e Nam Tok Katamtok ci sono
un centinaio di kilometri, il costo per l'autista ed il carburante sarebbe molto
elevato. Oppure ti posso procurare una moto. Pero' ti avverto: fino a Sekong la
strada e' asfaltata ed in discrete condizioni; poi c'e' solo uno sterrato che attraversa la foresta, percorso di rado. Se, che so, fori o rompi, te ne torni a piedi".
"Grazie per la franchezza. Niente moto. Pazienza, non vedro' Nam Tok Katamtok.
Quella stessa sera pero' l'albergatore bussa alla mia porta. "Vuoi ancora andare a Nam Tok Katamtok?" mi sussurra con voce da cospiratore.
"Si', pero' senza spendere quanto ho previsto come budget per tutta la permanenza in Laos e senza il rischio di farmela a piedi", sussurro a mia volta (chissa' poi perche' stiamo sussurrando).
"Allora vai a parlare con Mr Coffee".
"E chi e' Mr Coffee?".
"E' un olandese che ha sposato una laotiana e gestisce un piccolo bar qui a Paksong. Vacci ora, a piedi ci arrivi in una ventina di minuti, portati una torcia. Il bar sara' chiuso, bussa".
"Si' ma da Mr Coffee che ci vado a fare? Il caffe' l'ho gia' preso, grazie".
"Mr Coffee ha un fuoristrada ed ho saputo che domattina accompagnera' due scienziati (o qualcosa del genere) dalle parti di Nam Tok Katamtok. Ci andate tutti insieme e dividete la spesa. Semplice".
"Capito. Ottimo. Ci vado subito".
Quando sto per uscire mi richiama: "Senti: Mr Coffee... e' un tipo un po' strano sai. Ma e' una bravissima persona".
Rido: "Va bene. Anch'io sono un tipo un po' strano ma sono una bravissima persona".
Mr Coffee lo incontro, quella sera. E' alto alto e secco secco. E' l'uomo piu' rilassato della terra. Fuma come un turco e trascorre buona parte del tempo sciolto su un'amaca appesa davanti a casa. Ogni tanto si alza e mette la moka (cielo, una moka!) sul fuoco. Permettetemi qualche rapida notazione biografica: Roger (questo e' il suo vero nome) viveva e lavorava ad Amsterdam. Casa, ufficio, casa. In ufficio vedeva le facce lunghe dei colleghi, a casa la faccia lunga della moglie. Un giorno, neppure lui sa come e perche', gli viene l'insano pensiero di lasciar la moglie a casa e andarsene a trascorrere le ferie, da solo, in Cina. Al ritorno, riprende la sua vita, casa e ufficio. Ma dura poco. Divorzia, abbandona il lavoro e con i risparmi che ha raccimolato parte per l'Asia. Cammina per due anni e mezzo e poi, un giorno, sente che e' venuto il momento di fermarsi. E, dato che quel giorno si trova proprio a Paksong, li' si ferma (elementare). Si risposa e diventa Mr Coffee. Questo e' quanto, in estrema sintesi.
Tornando a noi, Mr Coffee mi spiega la faccenda di Nam Tok Katamtok e degli scienziati. Si tratta di due ricercatori che studiano insetti; in particolare, scarafaggi. Uno e' svizzero, l'altro ceco (nel senso che e' nato a Praga, non nel senso di "non vedente"; anche perche' a studiar insetti la vista occorre avercela buona). Cosa induca un uomo a specializzarsi in studio degli scarafaggi mi e' oscuro, ma tant'e'. Orbene, questi due studia-blatte vogliono andare a starsene per un paio di settimane nelle foreste tra Sekong e Attapeu perche', in base alle loro abominevoli ricerche, sono convinti che da quelle parti vivano delle specie rare di scarafaggi. Nella foresta primaria pero' di alberghi e ristoranti non ce ne sono. Dunque, per dedicarsi in santa pace alle loro ricerche, i due hanno pensato di portare con se' un approvigionamento sufficiente di acqua potabile e viveri e di trovare ospitalita' in uno dei villaggi della zona. Non si tratta propriamente di sistemazioni confortevoli, tenuto conto che si vive in capanne, senza acqua (l'acqua ce la si procura al fiume piu' vicino) e senza corrente elettrica. Ma - immagino concorderete - la possibilita' di trascorrere del tempo in compagnia dei summenzionati graziosi animaletti varra' bene qualche sacrificio. I due hanno pero' sin da subito capito che che, per realizzare l'impresa, sarebbe stato necessario l'aiuto di qualcuno che conoscesse la zona e potesse accompagnarli e metterli in contatto con un capo villaggio. Insomma, l'uomo giusto per una missione tanto bizzarra. E l'uomo giusto, a Paksong, e' lui: Mr Coffee (perdonate la solennita', ma qui ci stava proprio bene!). Ecco, dunque, il piano: Mr Coffee possiede uno sgangherato fuoristrada con cui accompagnera' i due folli negli "aspri e remoti" territori di cui vi ho detto. Lungo il percorso la comitiva si fermera' a Nam Tok Katamtok (sempre che riesca a trovarla). Dopo di che, procurata una sistemazione per i due, Mr Coffee fara' ritorno a Paksong, quello stesso giorno, prevedibilmente a tarda sera.
Insomma, ci sono tutti i presupposti affinche' prenda parte anch'io alla spedizione: accompagnero' l'allegra combricola a Nam Tok Katamtok ed alla ricerca del villaggio e poi me ne tornero' a Paksong con Mr Coffee.
Cosi', ci si accorda per incontrarci la mattina successiva, alle sette, di fronte al bar.
(CONTINUA)
nell’ultimo post avessi proclamato che in genere non ritengo interessante per il “lettore” descrivere i luoghi che visito o come trascorro il tempo – oggi vi parlero’di una giornata di viaggio. Semplicemente, ho pensato di raccontarvela perche’credo rappresenti davvero bene quello che intendo come autentico, profondo, spirito del "Viaggio".
Giusto per collocare gli avvenimenti nel tempo, la giornata risale a circa tre mesi fa, quando ero appena giunto nel Laos meridionale.
Dunque, a Pakse una mattina me ne vado alla stazione intenzionato a prendere un bus locale per Si Phan Don (le "quattromila isole sul Mekong"; chi fosse interessato, potra' dare un'occhiata su un motore di ricerca). Ma il bus, mi dicono, non c'e'.
“Scusi, non e’ questa la stazione dei bus?”.
“Si’. Ma di bus per Si Phan Don ce n’e’ solo uno al giorno, in prima mattinata. Partito”.
“Ahi. Ed io adesso a Si Phan Don come ci arrivo?”.
“Con uno di quelli”. E mi indica una fila di sawngthaew in attesa (come ho detto altre volte, si tratta di camioncini “riadattati” a trasporto persone, su cui in genere ci si comprime tra sacchi di riso, mercanzie varie, animali da cortile ed altre anime penitenti che devono intraprendere il medesimo viaggio, seduti su non propriamente confortevoli panche di duro legno).
Gesu’. “Quanto ci mette il sawngthaew ad arrivare a Si Phan Don?”.
“Quattro ore”. Il che, siccome il Laos non e’ proprio la Svizzera, sta a voler dire almeno sei ore.
Schiena (e fondoschiena) prontamente si ribellano: “Noi su quel coso oggi non ci saliamo!”.
Ed ora che si fa? Domando: “Dove e’ diretto il prossimo bus in partenza?”.
“A Paksong”.
“Bene, un biglietto per Paksong”.
Dopo circa un’ora e mezza, l’autista mi fa capire che ci siamo arrivati, a Paksong, e mi scarica in mezzo ad una strada lunga e polverosa, su cui si affaccia qualche raro edificio.
Ad un tale che se ne sta li’ seduto su una panchina e mi dice “hello” domando "Da che parte devo andare per il centro (della citta’)?”.
Risponde: “Questo e’ il centro”.
Ah. Immagino che Paksong non figuri nella classifica delle citta’ piu’ animate della terra.
“E un posto dove dormire, un albergo, dove lo trovo?”.
“Ce l’ho io l'albergo”.
Questo tipo non sara’ di molte parole ma comincia a piacermi.
“Bene. E nel tuo albergo quanto costa una stanza?”.
“Cinque dollari”.
“Mi sembra ragionevole. Andiamo, mostrami questo Sheraton.
Beninteso, Paksong non e’ il posto che consiglierei a chi voglia far shopping sfrenato o darsi alla vita notturna, ma tutta l’area circostante – l’Altopiano del Bolaven – e’ davvero bellissima. Vaste distese di foresta primaria, cascate che precipitano spumeggianti in profondissime vallate ed un clima piacevolemente fresco, grazie all’altitudine.
Dopo un paio di giorni, visto che la zona tutt’intorno l’ho visitata, mi viene il desiderio di andare piu’in la’, allontanarmi ancora dall'itinerario a cui avevo originariamente pensato. Voglio raggiungere "Nam Tok Katamtok".
La guida "Lonely Planet" (al di la' di cio' che possano dire quelli che vogliono sempre differenziarsi, tuttora la miglior guida a disposizione del viaggiatore indipendente) cosi' descrive Nam Tok Katamtok: "una sbalorditiva cascata con un salto di 120 metri situata in una giungla fitta e remota" aggiungendo che si tratta della "cascata piu' spettacolare del Laos, anche perche' per trovarla bisogna essere quasi degli esploratori". La cascata si trova tra le "aspre e remote province di Sekong e Attapeu, che costituiscono il selvaggio est del Laos".
Cosi', domando al mio buon amico albergatore (dal quale alla fine ho soggiornato per quattro giorni): "Come ci arrivo a Nam Tok Katamtok, c'e' un bus?".
"No. Per la verita' non c'e' neppure la strada".
"Ma ci sara' pure un modo. Il tizio che l'ha scritto sulla Lonely, a meno che non sia un gran buontempone, ci dovra' essere arrivato".
"Forse puoi trovare qualcuno che ti ci porti con un fuoristrada. Ma non so, e' difficile. In ogni caso, considerato che tra Paksong e Nam Tok Katamtok ci sono
un centinaio di kilometri, il costo per l'autista ed il carburante sarebbe molto
elevato. Oppure ti posso procurare una moto. Pero' ti avverto: fino a Sekong la
strada e' asfaltata ed in discrete condizioni; poi c'e' solo uno sterrato che attraversa la foresta, percorso di rado. Se, che so, fori o rompi, te ne torni a piedi".
"Grazie per la franchezza. Niente moto. Pazienza, non vedro' Nam Tok Katamtok.
Quella stessa sera pero' l'albergatore bussa alla mia porta. "Vuoi ancora andare a Nam Tok Katamtok?" mi sussurra con voce da cospiratore.
"Si', pero' senza spendere quanto ho previsto come budget per tutta la permanenza in Laos e senza il rischio di farmela a piedi", sussurro a mia volta (chissa' poi perche' stiamo sussurrando).
"Allora vai a parlare con Mr Coffee".
"E chi e' Mr Coffee?".
"E' un olandese che ha sposato una laotiana e gestisce un piccolo bar qui a Paksong. Vacci ora, a piedi ci arrivi in una ventina di minuti, portati una torcia. Il bar sara' chiuso, bussa".
"Si' ma da Mr Coffee che ci vado a fare? Il caffe' l'ho gia' preso, grazie".
"Mr Coffee ha un fuoristrada ed ho saputo che domattina accompagnera' due scienziati (o qualcosa del genere) dalle parti di Nam Tok Katamtok. Ci andate tutti insieme e dividete la spesa. Semplice".
"Capito. Ottimo. Ci vado subito".
Quando sto per uscire mi richiama: "Senti: Mr Coffee... e' un tipo un po' strano sai. Ma e' una bravissima persona".
Rido: "Va bene. Anch'io sono un tipo un po' strano ma sono una bravissima persona".
Mr Coffee lo incontro, quella sera. E' alto alto e secco secco. E' l'uomo piu' rilassato della terra. Fuma come un turco e trascorre buona parte del tempo sciolto su un'amaca appesa davanti a casa. Ogni tanto si alza e mette la moka (cielo, una moka!) sul fuoco. Permettetemi qualche rapida notazione biografica: Roger (questo e' il suo vero nome) viveva e lavorava ad Amsterdam. Casa, ufficio, casa. In ufficio vedeva le facce lunghe dei colleghi, a casa la faccia lunga della moglie. Un giorno, neppure lui sa come e perche', gli viene l'insano pensiero di lasciar la moglie a casa e andarsene a trascorrere le ferie, da solo, in Cina. Al ritorno, riprende la sua vita, casa e ufficio. Ma dura poco. Divorzia, abbandona il lavoro e con i risparmi che ha raccimolato parte per l'Asia. Cammina per due anni e mezzo e poi, un giorno, sente che e' venuto il momento di fermarsi. E, dato che quel giorno si trova proprio a Paksong, li' si ferma (elementare). Si risposa e diventa Mr Coffee. Questo e' quanto, in estrema sintesi.
Tornando a noi, Mr Coffee mi spiega la faccenda di Nam Tok Katamtok e degli scienziati. Si tratta di due ricercatori che studiano insetti; in particolare, scarafaggi. Uno e' svizzero, l'altro ceco (nel senso che e' nato a Praga, non nel senso di "non vedente"; anche perche' a studiar insetti la vista occorre avercela buona). Cosa induca un uomo a specializzarsi in studio degli scarafaggi mi e' oscuro, ma tant'e'. Orbene, questi due studia-blatte vogliono andare a starsene per un paio di settimane nelle foreste tra Sekong e Attapeu perche', in base alle loro abominevoli ricerche, sono convinti che da quelle parti vivano delle specie rare di scarafaggi. Nella foresta primaria pero' di alberghi e ristoranti non ce ne sono. Dunque, per dedicarsi in santa pace alle loro ricerche, i due hanno pensato di portare con se' un approvigionamento sufficiente di acqua potabile e viveri e di trovare ospitalita' in uno dei villaggi della zona. Non si tratta propriamente di sistemazioni confortevoli, tenuto conto che si vive in capanne, senza acqua (l'acqua ce la si procura al fiume piu' vicino) e senza corrente elettrica. Ma - immagino concorderete - la possibilita' di trascorrere del tempo in compagnia dei summenzionati graziosi animaletti varra' bene qualche sacrificio. I due hanno pero' sin da subito capito che che, per realizzare l'impresa, sarebbe stato necessario l'aiuto di qualcuno che conoscesse la zona e potesse accompagnarli e metterli in contatto con un capo villaggio. Insomma, l'uomo giusto per una missione tanto bizzarra. E l'uomo giusto, a Paksong, e' lui: Mr Coffee (perdonate la solennita', ma qui ci stava proprio bene!). Ecco, dunque, il piano: Mr Coffee possiede uno sgangherato fuoristrada con cui accompagnera' i due folli negli "aspri e remoti" territori di cui vi ho detto. Lungo il percorso la comitiva si fermera' a Nam Tok Katamtok (sempre che riesca a trovarla). Dopo di che, procurata una sistemazione per i due, Mr Coffee fara' ritorno a Paksong, quello stesso giorno, prevedibilmente a tarda sera.
Insomma, ci sono tutti i presupposti affinche' prenda parte anch'io alla spedizione: accompagnero' l'allegra combricola a Nam Tok Katamtok ed alla ricerca del villaggio e poi me ne tornero' a Paksong con Mr Coffee.
Cosi', ci si accorda per incontrarci la mattina successiva, alle sette, di fronte al bar.
(CONTINUA)
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