"VIAGGIATORE, NON C'E' UN SENTIERO.
I SENTIERI SI FANNO CAMMINANDO".

Antonio Machado, Poesias Completas

domenica 27 giugno 2010

WHERE ARE YOU GOING?



Dunque, riprendo da dove mi ero fermato: l’autobus, il risveglio, dal sogno.
E’ questo il momento in cui siete vulnerabili. Il momento in cui il “Where are you going?” puo’ cogliervi, davvero, impreparati.
Ora vi spiego cosa intendo.
Se viaggiate – in particolare se viaggiate da soli – e vi muovete spesso da una localita’ all’altra, vi troverete a dover mandare a mente un sacco di nomi “esotici”.
Qualche esempio.
Quando, in Thailandia, ho deciso di raggiungere da Sukhothai il parco di Khao Yai, ho dovuto: prendere un tuk-tuk (il famigerato “ape” riadattato a trasporto persone) da Old Sukhothai a New Sukhothai; poi un autobus da New Sukhothai a Phitsanulok; altro bus da Phitsanulok a
Khon Kaen, via Lomsak; autobus (ebbene si’, ancora uno) da Khon Kaen a Nakhon Ratchasima (citta’ alla quale, giusto per semplificare le cose, si e’ pensato bene di appioppare anche un secondo nome: Khorat); sawngthaew (una sorta di camioncino) da Khorat a Pak Chong; altro tuk-tuk, sino all’ingresso del parco; gran finale con autostop dall’ingresso del parco al centro visitatori (ci son quindici kilometri; non so voi come ve la caviate a passeggiate: io ho fatto
autostop).
Che dite, il rischio di fare un po’ di confusione, qua o la’, ci puo’ essere, non trovate?
Oppure – passiamo a qualche esercizio piu’ complesso – in Laos puo’ capitare di dover viaggiare da Paksan a Pakse per raggiungere Paksong. O, ancora – sempre in Laos – di andare da Don Kho a Don Khon per visitare Don Khong (questa e’ davvero per solutori piu’ che abili)! Dimenticate o aggiungete una consonante di troppo e siete fregati (“fregati”, Oddio; tutto e’ relativo: semplicemente, vi ritroverete in un posto diverso da quello a cui avevate pensato. Potrebbe anche rivelarsi una cosa buona).
La mattina, prima di partire, ripasso velocemente la lezione: “Dunque, sei a Pakse e devi andare a Paksong, semplice. Paksan toglitela dalla mente per ora, quella e’ a nord. Don Kho? No, non
c’e’ tempo. Vai a Don Khon. Ma l’albergo e’ meglio cercarlo a Don Khong”.
Ora qualcuno, forse, pensera’: “Ma una mappa, un libro, una guida, un mappamondo luminoso, qualcosa... ce l’avrai pure con te, no...?”.
Certo che si’. Ma le localita’, dopo averne fissato intensamente i nomi sulla mappa per un buon lasso di tempo, sara’ bene anche ricordarsele. In primis, perche’ a camminare con la cartina sempre davanti agli occhi si rischia di sbattere delle gran facciate contro i, sia pur rari, pali della luce. Soprattutto, perche’ i bus, camioncini, eccetera, spesso non stanno ad aspettarvi. Passano,
rallentano un poco, qualcuno grida il nome della destinazione e, se e’ quella giusta, occorre dimostrare un certa prontezza, raccogliere lo zaino, saltare a bordo.
Comunque, non voglio farla, come si suol dire, piu’ grande di quel che e’: con un po’ di allenamento e meditazione zen ce la si puo’ cavare egregiamente.
Sino a quando non arriva il fatidico momento del “Where are you going?”; quello che vi frega, perche’ colpisce quando non ve l’aspettate.
Il bus - riprendiamo dall’inizio - state dormendo. A svegliarvi e’ il “bigliettaio”. Ha le sue ragioni, la domanda e’ lecita, qualche bath o kip occorrera’ pur versarlo per il passaggio. “Where are you going?”.
In realta’, la maggior parte delle volte la domanda e’ in thai o lao; l’inglese, appena si esce dalle tratte “turistiche”, lo parlano davvero in pochi. Spesso, il bigliettaio, neppure parla, si limita a fare un gesto, come a dire “orbene, dove ti scarichiamo?”.
Mi stropiccio gli occhi. Un momento. Anzitutto... dove sono? Sino a poco fa, ero li’, accanto al pozzo, i telefonini. “Where are you going?”; la domanda ha un che di filosofico, non trovate? Where am I going? E, soprattutto, perche’? Vorrei rispondergli “ E tu, fratello, in fondo, lo sai davvero dove stai andando?”. Ma, no, decisamente non sembra essere una buona idea, avra’ ancora una trentina di viaggiatori da cui riscuotere ed intavolare una conversazione sulla metafisica in thai potrebbe presentare delle difficolta’.
Sbadiglio e farfuglio qualcosa (poniamo si trattasse di andare a Pak Chong): “Ahm... going to... to... Pek Chang?!”.
Mi fissa, inerte, silente (inarcasse almeno un sopracciglio, una reazione). E qui, diciamolo, anche lui ci mette del suo. Se facessi il bigliettaio e – ad esempio – a Moncalieri un thailandese mi dicesse “io... andare... Tortino”, accidenti, uno sforzo lo farei bene per capire che ‘sto brav’uomo e’ a “Torino” che vuole arrivare!
Ma il giovanotto, qui, non e’ altrettanto intuitivo.
“Wait”. La mappa, aspetta solo che abbia tra le mani la mappa – ne ho una grande, colorata – e te lo faccio vedere io dove voglio andare, voi ed il vostro maledetto vizio di affibbiare nomi
incomprensibili alle cose!
Quando gia’ ho svuotato mezzo zainetto (la mappa, era qui), tira fuori un’esclamazione: “Ahhh... Pak Chong... you go Pak Chong”.
Pak Chong, si’, e’ quello, portamici.
E se non fosse quello, portamici lo stesso.

P.S.: Amici, ho scherzato. In realta’, quanto ad orientamento e toponomastica me la cavo alla grande, davvero. Non ho mai sbagliato il nome di un paese (magari giusto qualche frazione, qua e la’).
Pero’, a rifletterci, la domanda, forse, sarebbe bene porsela.
Sempre, comunque, ogni mattina, davanti allo specchio, anche se non si ha in programma di prendere il bus per Pak Chong.
“Dove sto andando?”.

  

Nessun commento: