Premessa n. 1
Debbo scusarmi con voi per aver un po' trascurato il blog ultimamente, ma e' accaduto che dopo la pubblicazione del post sulla censura, la polizia mi abbia preso e ficcato nel (peraltro monumentale) penitenziario di Inlein, a Yangon, dove sono rimasto detenuto alcuni giorni. Diavolo di servizi segreti, chi avrebbe potuto immaginare che disponessero di interpreti italiano - birmano?
Comunque, la vita in carcere non era poi malaccio, ci facevamo della gran partite a chinlon e la sera guardavamo le partite di coppa. Solo la prima colazione era, francamente, insoddisfacente.
Premessa n. 2
La funzione della premessa n. 2 e' rassicurare coloro i quali, anche solo per un istante, avessero pensato che nella premessa n. 1 stessi dicendo sul serio. Gente, scherzavo, era una battuta, sono solo stato in giro a visitar templi, ok?
Premessa n. 3
Anche questo post viene pubblicato grazie alla preziosa collaborazione della carissima Mich, donna e blogger sublime.
- - -
Alcune sere fa, mentre camminavo lungo un viale poco illuminato di Yangon, un'auto ha rallentato, mi si e' affiancata, ed una ragazza a bordo mi ha puntato addosso una pistola ed ha premuto il grilletto.
Mi ha colpito, piu' volte, ed ogni volta se l'e' risa di gusto.
Rischi del viaggiare.
Bene, malgrado sia stato centrato in pieno, sapete che vi dico? Ne sono uscito perfettamente incolume ed, anzi, piacevolmente divertito.
La pistola era ad acqua e l'imboscata stava a dire "straniero, anche per te ha inizio la Festa dell'Acqua!".
Gia', son capitato a Yangon giusto alla vigilia del Water Festival (in birmano "Thungi").
Nulla che non sapessi, anzi, ero preparato; quando mi son trovato a dover decidere la data di partenza, ho fatto proprio in modo di arrivare in tempo per la festa.
Di cosa si tratta? Dunque, la Festa dell'Acqua dura tre giorni e precede il Capodanno birmano. E cosa accade durante i giorni di festa? Semplice, dall'alba al tramonto, tutti, ma proprio tutti, ci si fa, in qualsiasi momento e circostanza, dei gavettoni incredibili! Del tipo che cammini per strada, un tizio ti fa "auguri", ti sorride e ti rifila una secchiata d'acqua. Funziona cosi' (si tratta solo di saperlo, altrimenti e' comprensibile ci si possa restare un po' maluccio). Lungo le vie di Yangon vengono montati dei grandi palchi, che sparano a volume assordante un misto di Black Eyed Peas e musica tradizionale birmana, con decine di tubi di gomma pronti a far "acqua" (dir "fuoco" sarebbe improprio). La cittadinanza - a piedi, in bici, moto, in auto, su furgoni scoperchiati colmi all'inverosimile, insomma in qualunque modo - percorre le strade e si fa inondare tra grida di festa e giubilo.
La mattina del primo giorno, pero', la situazione pare ancora piuttosto tranquilla. Metto il naso fuori dalla porta d'ingresso dell'albergo e non si vede nessuno nei paraggi. Alla "reception" non mancano di rammentarmi "put your passport, camera, mobile and everything in plastic bags, 'cause..."... fermi, va bene, non aggiungete altro, sono pronto.
Esco ed inizio a dirigermi verso la Sule Paya, assumendo un incedere sicuro, del tipo "vado a farmi il mondo".
I bambini - notoriamente privi di pietas - sono i primi a notarmi. Una bimba - avra' quattro, cinque anni - quando mi vede s'illumina d'entusiasmo. Non sta nella pelle, un turista grande e grosso e' un bersaglio troppo succulento.
Riempe una tazza d'acqua e tutta affannata si mette a corrermi appresso, seguita con lo sguardo dai genitori che se la ridono.
Potrei allungare un po' il passo, ma si tratterebbe solo di rinviare di poco l'ineluttabile e, insomma, che dite, potrei aver cuore di deluderla? Mi fermo, sfilo il cappello, mi chino per porgerle la testa e ricevo il mio battesimo dell'acqua, tra la soddisfazione generale.
La mattinata del primo giorno e', essenzialmente, territorio di caccia dei bambini. Alcuni mi porgono anche dei bicchieri pieni, perche' possa a mia volta partecipare al gioco. I piu' grandi sono ancora impegnati nei preparativi.
Nei giorni successivi capisco cos'e' davvero la Festa dell'Acqua. Lungo tutta la strada, vi giuro, tutta, decine e decine di kilometri, la gente, di qualsiasi eta', sesso, insomma chiunque, si allinea lungo il bordo della carreggiata e con secchi, pentole, tazze o veri e propri idranti, bombarda d'aqua tutti quelli che, a piedi o con qualsiasi mezzo, si trovino a passare per la via. Se non avessi il privilegio di un finestrino da chiudere, sarei annegato gia' a Taungoo!
Nei villaggi attraversati dalla strada, poi, ci sono dei grandi palchi (come per le vie di Yangon), con musica e pompe spara-acqua, e lo scontro si fa ancora piu' vivace.
Quando abbandoniamo la strada per Mandalay, per inerpicarci lungo le vie strette e polverose che portano a Kalaw, la Festa assume una connotazione ancora diversa. Nei paesi, i giovani hanno allestito dei veri "posti di blocco" e chiedono offerte per finanziare, ciascun gruppo, i propri festeggiamenti. L'offerta non si puo' fare a meno di darla, dato che te li ritrovi sdraiati sul cofano (ma l'obolo richiesto puo' equivalere a circa trenta, cinquanta centesimi di euro; insomma, non vi impoverirete). Altri, in cambio della "donazione", danno, a loro volta, qualcosa. Cosi', in un piccolo villaggio, mi ritrovo tra le mani un bicchiere di un succo rosso dolcissimo ed una palletta gommosa di latte di riso. Mangia, bevi. Uno mi dice: " L'hai sentito lo zucchero nella pallina di riso?". Rispondo: "lo zucchero, si'". E lui: "e' andata bene, in alcune mettono del chilli al posto dello zucchero e quando saltan fuori ci si fa delle gran risate!".
Per raggiungere la Golden Rock (una delle mete piu' note del Myanmar; chi fosse interessato a saperne di piu', potra' dare un'occhiata su qualsiasi motore di ricerca) occorre farsi i tornanti ripidi e vorticosi che conducono alla cima a bordo di tremendi autocarri che stipano i passeggeri sul retro, accovacciati su assi lunghe e strette. Non ci sono orari precisi per le partenze, il mezzo parte quando la legge di incomprimibilita' dei corpi impedisce di caricare a bordo anche solo piu' un'anima penitente.
Prima di, letteralmente, arrampicarmi a bordo, un tale ispirato da buoni sentimenti, mi sussurra: "put your passport, camera, mobile and everything in plastic bags, 'cause...". Santo cielo, anche qui! Non c'e' rispetto neppure per noi pellegrini dunque!
No, la Festa dell'Acqua e' cosi', non guarda in faccia nessuno.
Sul camion mi ritrovo tra un gruppo di monaci un po' in la' con gli anni ed un'effervescente scolaresca.
Il monaco che mi si e' seduto accanto (il termine "accanto" non e' appropriato, dato che siamo praticamente sovrapposti) se la ridacchia di continuo e - dato che devo stargli simpatico - lungo tutto il tragitto mi fa dei gran racconti in birmano stretto.
Mentre saliamo, incontriamo una moltitudine di camion come il nostro, che stanno ridiscendendo a valle. Ogni volta che ne incrociamo uno, da quello partono cannonate d'acqua, cosi' che gia' dopo pochi metri, ci ritroviamo fradici.
E i miei? Nulla, stanno solo a subire (ed io con loro).
Ora, non dico i monaci, che sono pure anzianotti, ma voi, "ragazzi della terza C", alla partenza sembravate dei teppisti incalliti e adesso mi vien fuori che siete degli smidollati che non si sono procurati neppure un bazooka ad acqua o, quanto meno, una batteria di secchi pieni fino all'orlo?
Insomma, dopo un po', dato che ne va dell'orgoglio, decido di rinunciare alla mia preziosa acqua potabile, tiro fuori dalla borsa la bottiglia, la porgo al monaco (che se la ride) e gli faccio segno di passarla ad un ragazzo che e' seduto in una buona posizione per far partire finalmente il nostro glorioso contrattacco.
Il monaco esegue e passa la bottiglia al giovine.
E quello? prende e la rovescia addosso alla compagna che gli sta seduta davanti.
"Non cosi', inetto!".
Ma quando lei si gira e gli fa un gran sorriso e lui, per un attimo, mi guarda riconoscente, capisco che ha fatto la cosa giusta.
domenica 25 aprile 2010
domenica 18 aprile 2010
CENSURA E TECNICHE DI AGGIRAMENTO
Il governo birmano non vuole che scriva sul mio blog.
Suona piuttosto singolare, non trovate?
Ma tant'e'.
Mi spiego meglio. In Birmania, come saprete, c'e' tuttora una dittatura militare che detiene saldamente il potere.
Lo straniero in visita' puo' anche non accorgersene del tutto. Ad esempio, soldati ed affini per le strade ogni tanto ce ne sono, ma non piu' che altrove. Le consuete mete "turistiche" possono essere visitate in totale pace e serenita': anzi, direi che se c'e' un paese "tranquillo" per il turista, beh, e' proprio questo.
Ci sono momenti pero' in cui qualcosa puo' affiorare e solleticare l'interesse anche del viaggiatore piu' disattento. Non mi riferisco al fatto che per molte zone del paese l'accesso agli stranieri sia formalmente vietato. Ben difficilmente uno straniero in visita (salvo ragioni specifiche) avrebbe comunque interesse a recarvicisi durante il breve periodo di validita' del visto turistico.
Il riferimento e' piuttosto all'affermazione con cui ho esordito.
Se c'e' una cosa che alle dittature da un gran fastidio, e' proprio la possibilita' di scambiarsi liberamente opinioni, idee, prospettive.
E internet consente di farlo, accidenti a lui!
Internet - so di dire una cosa scontata, ma ogni tanto di cose scontate se possono anche (riba)dire, no? - e' (meglio: puo' essere) uno strumento davvero meraviglioso e micidiale.
Bene, sede naturale di questo possibile scambio di voci e pensieri sono i blog.
Certo, dalle nostre parti vengono spesso usati per far sapere al mondo notizie di fondamentale rilievo, del tipo come ci si e' pettinati o cosa si mangera' a pranzo (intendiamoci, non che voglia ridurre l'importanza di una buona permanente o di una sana alimentazione eh...).
Ma altrove - qui, ad esempio - possono diventare qualcosa di maledettamente serio.
Ragion per cui, le dittature di cui sopra adottano, spesso, una soluzione semplice ed afficace: bloccare i siti che non gradiscono.
La selezione poggia su criteri spesso inintelleggibili (perche', poniamo, Facebook va bene e, invece, Blogspot merita di essere inchiodato?), ma il succo e' e resta: dovete stare zitti.
Insomma, provo a collegarmi a Yangon e poi a Kalaw e niente, il sito di accesso al blog e' bloccato.
Per pubblicare il primo post (YANGON CALLING) devo quindi ricorrere ad un sistema degno di Radio Londra: invio il testo a una carissima amica e meravigliosa blogger, che lo copia e pensa quindi lei a pubblicarlo sul blog. Insomma, un metodo di "aggiramento" empirico ma funzionale.
Proprio ieri sera pero' mi capita di provare una gran soddisfazione. Qui da dove vi sto scrivendo - una cittadina in riva al lago Inle - nel momento in cui, al mio ennesimo tentativo, compare ancora una volta la finestra "accesso negato", mi rivolgo al ragazzo che gestisce l'internet point: "il sito e' proprio bloccato, giusto?".
Lui da un'occhiata, fa un cenno con la testa, si mette alla tastiera e, dopo alcune operazioni, mi dice "try now". Provo. Ed "entro", esclamando un "ahah" di giubilo. Lui fa un gran sorriso e senza dirci altro ci scambiamo uno sguardo d'intesa che sta a dire "non ci fermeranno".
P.S.: il giovine hacker di cui sopra non sara' sempre al mio fianco. E' quindi ragionevole pensare che anche nel prosieguo incontrero' il medesimo problema di accesso a blogspot e per i post dovro' continuare ad affidarmi alla pazienza della blogger di cui sopra. Vi prego quindi di non lasciare eventuali messaggi e/o commenti sul blog, perche' temo non mi sara' possibile leggerli. Se volete, mi trovate su mail o Facebook, miei cari. Ciao.
Suona piuttosto singolare, non trovate?
Ma tant'e'.
Mi spiego meglio. In Birmania, come saprete, c'e' tuttora una dittatura militare che detiene saldamente il potere.
Lo straniero in visita' puo' anche non accorgersene del tutto. Ad esempio, soldati ed affini per le strade ogni tanto ce ne sono, ma non piu' che altrove. Le consuete mete "turistiche" possono essere visitate in totale pace e serenita': anzi, direi che se c'e' un paese "tranquillo" per il turista, beh, e' proprio questo.
Ci sono momenti pero' in cui qualcosa puo' affiorare e solleticare l'interesse anche del viaggiatore piu' disattento. Non mi riferisco al fatto che per molte zone del paese l'accesso agli stranieri sia formalmente vietato. Ben difficilmente uno straniero in visita (salvo ragioni specifiche) avrebbe comunque interesse a recarvicisi durante il breve periodo di validita' del visto turistico.
Il riferimento e' piuttosto all'affermazione con cui ho esordito.
Se c'e' una cosa che alle dittature da un gran fastidio, e' proprio la possibilita' di scambiarsi liberamente opinioni, idee, prospettive.
E internet consente di farlo, accidenti a lui!
Internet - so di dire una cosa scontata, ma ogni tanto di cose scontate se possono anche (riba)dire, no? - e' (meglio: puo' essere) uno strumento davvero meraviglioso e micidiale.
Bene, sede naturale di questo possibile scambio di voci e pensieri sono i blog.
Certo, dalle nostre parti vengono spesso usati per far sapere al mondo notizie di fondamentale rilievo, del tipo come ci si e' pettinati o cosa si mangera' a pranzo (intendiamoci, non che voglia ridurre l'importanza di una buona permanente o di una sana alimentazione eh...).
Ma altrove - qui, ad esempio - possono diventare qualcosa di maledettamente serio.
Ragion per cui, le dittature di cui sopra adottano, spesso, una soluzione semplice ed afficace: bloccare i siti che non gradiscono.
La selezione poggia su criteri spesso inintelleggibili (perche', poniamo, Facebook va bene e, invece, Blogspot merita di essere inchiodato?), ma il succo e' e resta: dovete stare zitti.
Insomma, provo a collegarmi a Yangon e poi a Kalaw e niente, il sito di accesso al blog e' bloccato.
Per pubblicare il primo post (YANGON CALLING) devo quindi ricorrere ad un sistema degno di Radio Londra: invio il testo a una carissima amica e meravigliosa blogger, che lo copia e pensa quindi lei a pubblicarlo sul blog. Insomma, un metodo di "aggiramento" empirico ma funzionale.
Proprio ieri sera pero' mi capita di provare una gran soddisfazione. Qui da dove vi sto scrivendo - una cittadina in riva al lago Inle - nel momento in cui, al mio ennesimo tentativo, compare ancora una volta la finestra "accesso negato", mi rivolgo al ragazzo che gestisce l'internet point: "il sito e' proprio bloccato, giusto?".
Lui da un'occhiata, fa un cenno con la testa, si mette alla tastiera e, dopo alcune operazioni, mi dice "try now". Provo. Ed "entro", esclamando un "ahah" di giubilo. Lui fa un gran sorriso e senza dirci altro ci scambiamo uno sguardo d'intesa che sta a dire "non ci fermeranno".
P.S.: il giovine hacker di cui sopra non sara' sempre al mio fianco. E' quindi ragionevole pensare che anche nel prosieguo incontrero' il medesimo problema di accesso a blogspot e per i post dovro' continuare ad affidarmi alla pazienza della blogger di cui sopra. Vi prego quindi di non lasciare eventuali messaggi e/o commenti sul blog, perche' temo non mi sara' possibile leggerli. Se volete, mi trovate su mail o Facebook, miei cari. Ciao.
giovedì 15 aprile 2010
YANGON CALLING
La Yangon che mi accoglie e` molto diversa dalla Yangon che mi ero apparecchiato nella mente.
Mi e` successo anche altre volte, in passato, con altri luoghi.
Per esempio, dato che passeggiare all`imbrunire per citta` come Managua o Ciudad de Panama mi era in genere parso tutt`altro che rassicurante, quando mi trovai ad arrivare a L`Avana a tarda sera, suggerii a miei compagni di viaggio: “ficchiamoci a dormire nel primo posto decente e non mettiamo il naso fuori prima di domattina”. Nella “mia” L`Avana trovarsi per strada al calar delle tenebre non sarebbe stato affatto saggio.
Una volta che ci fummo sistemati, pero`, malgrado fosse passata la mezzanotte, vedemmo le vie di sotto brulicare di gente schiamazzante. Intere famiglie se ne passeggiavano beate e proprio la strada dava l`idea di essere il posto piu` rassicurante della terra. C`era una gran festa, con musica e danze, lungo il Malecon. Insomma, scendemmo e facemmo le tre.
Ancora un esempio: quando arrivai a Kandy, la localita` nel cuore dello Sri Lanka in cui avevamo deciso di stabilire la nostra “base”, mi prese un gran disagio. Il luogo che mi ero prefigurato aveva i caratteri della “citta`”, con la piazza centrale, la via principale e tutto il resto. La Kandy reale, invece, non era che un insieme disordinato di case aggredite dalla foresta tutt`intorno. Sembrava che di li` a poco la giungla se la sarebbe ripresa (e noi con lei). Il disagio sarebbe passato solo quando avessi dato ingresso nella mente alla Kandy materiale.
Cosi` le citta` della mente, che avevamo edificato per prepararci all`arrivo, svaniscono allorche`, con il realizzarsi del loro fine (l`arrivo appunto), vi si sovrappongono le citta` reali.
Cosi` - e con cio` torno al punto da cui ero partito – la Yangon che trovo non e` insopportabilmente calda, sporca e caotica, ma gradevole, inaspettatamente pulita ed ordinata. Ampi viali alberati conducono al centro. Il parco che incornicia il laghetto cittadino e` mantenuto con dovizia e cura certosina. Le pagode splendidamente illuminate.
Ma sotto questa citta` “reale”, fatta di case, strade e fontane, che ha offuscato la citta` della mente, c`e` una terza citta`. La citta` della verita`, che odora di sofferenza e sangue e voci represse. La situazione, infatti, considerato che anche gli ultimi tentativi di opposizione alla dittatura (le rivolte capeggiate dai monaci nel 2007) sono stati sedati dall`esercito, non e` sostanzialmente mutata rispetto a quella che descriveva Terzani nel `91: “Ci vuol poco a scoprire che la gente, per obbedire all`ordine di rimbiancare le proprie case, ha dovuto indebitarsi, che l`acqua mandata nelle fontane manca ora ai due ospedali del centro, che la luce per le pagode e` stata tolta al sistema della capitale, sempre piu` afflitta da continue interruzioni di corrente. Le guide governative amano indicare i vari viadotti che ora passano sopra alle strade principali, ma basta un normale birmano a farmi notare un aspetto inquietante e poco ovvio di queste nuove costruzioni: da lassu` i soldati spareranno sui dimostranti con piu` facilita` che dai tetti”.
Mi e` successo anche altre volte, in passato, con altri luoghi.
Per esempio, dato che passeggiare all`imbrunire per citta` come Managua o Ciudad de Panama mi era in genere parso tutt`altro che rassicurante, quando mi trovai ad arrivare a L`Avana a tarda sera, suggerii a miei compagni di viaggio: “ficchiamoci a dormire nel primo posto decente e non mettiamo il naso fuori prima di domattina”. Nella “mia” L`Avana trovarsi per strada al calar delle tenebre non sarebbe stato affatto saggio.
Una volta che ci fummo sistemati, pero`, malgrado fosse passata la mezzanotte, vedemmo le vie di sotto brulicare di gente schiamazzante. Intere famiglie se ne passeggiavano beate e proprio la strada dava l`idea di essere il posto piu` rassicurante della terra. C`era una gran festa, con musica e danze, lungo il Malecon. Insomma, scendemmo e facemmo le tre.
Ancora un esempio: quando arrivai a Kandy, la localita` nel cuore dello Sri Lanka in cui avevamo deciso di stabilire la nostra “base”, mi prese un gran disagio. Il luogo che mi ero prefigurato aveva i caratteri della “citta`”, con la piazza centrale, la via principale e tutto il resto. La Kandy reale, invece, non era che un insieme disordinato di case aggredite dalla foresta tutt`intorno. Sembrava che di li` a poco la giungla se la sarebbe ripresa (e noi con lei). Il disagio sarebbe passato solo quando avessi dato ingresso nella mente alla Kandy materiale.
Cosi` le citta` della mente, che avevamo edificato per prepararci all`arrivo, svaniscono allorche`, con il realizzarsi del loro fine (l`arrivo appunto), vi si sovrappongono le citta` reali.
Cosi` - e con cio` torno al punto da cui ero partito – la Yangon che trovo non e` insopportabilmente calda, sporca e caotica, ma gradevole, inaspettatamente pulita ed ordinata. Ampi viali alberati conducono al centro. Il parco che incornicia il laghetto cittadino e` mantenuto con dovizia e cura certosina. Le pagode splendidamente illuminate.
Ma sotto questa citta` “reale”, fatta di case, strade e fontane, che ha offuscato la citta` della mente, c`e` una terza citta`. La citta` della verita`, che odora di sofferenza e sangue e voci represse. La situazione, infatti, considerato che anche gli ultimi tentativi di opposizione alla dittatura (le rivolte capeggiate dai monaci nel 2007) sono stati sedati dall`esercito, non e` sostanzialmente mutata rispetto a quella che descriveva Terzani nel `91: “Ci vuol poco a scoprire che la gente, per obbedire all`ordine di rimbiancare le proprie case, ha dovuto indebitarsi, che l`acqua mandata nelle fontane manca ora ai due ospedali del centro, che la luce per le pagode e` stata tolta al sistema della capitale, sempre piu` afflitta da continue interruzioni di corrente. Le guide governative amano indicare i vari viadotti che ora passano sopra alle strade principali, ma basta un normale birmano a farmi notare un aspetto inquietante e poco ovvio di queste nuove costruzioni: da lassu` i soldati spareranno sui dimostranti con piu` facilita` che dai tetti”.
venerdì 9 aprile 2010
IN ASIA
Sapete, per la verità, malgrado ci abbia pensato a lungo, non so bene da dove cominciare.
Ragion per cui, mi limiterò all’essenziale. Il resto, credo, verrà lungo il cammino.
Molto semplicemente, “edo is walking” è (o, meglio, sarà) un diario di viaggio; o qualcosa del genere.
In ogni caso, il punto di partenza è il “viaggio”.
Non mi ero mai soffermato sul reale significato di “viaggio”. Ma ora, riflettendoci, un’idea credo di essermela fatta. Penso che la partenza possa davvero considerarsi un “viaggio” quando chi parte sa che tornerà ma non sa con esattezza la data in cui farà ritorno ed il luogo da cui farà ritorno.
Dunque, quello che mi accingo a fare sarà il mio primo, vero, viaggio; di cui, spero, se vorrete, potrò comunicarvi qualche immagine, frammento, sensazione.
Ciao.
P.S.: nei precedenti paragrafi trovate alcuni piccoli scritti dal mio ultimo viaggio in India, già pubblicati su Facebook.
Ragion per cui, mi limiterò all’essenziale. Il resto, credo, verrà lungo il cammino.
Molto semplicemente, “edo is walking” è (o, meglio, sarà) un diario di viaggio; o qualcosa del genere.
In ogni caso, il punto di partenza è il “viaggio”.
Non mi ero mai soffermato sul reale significato di “viaggio”. Ma ora, riflettendoci, un’idea credo di essermela fatta. Penso che la partenza possa davvero considerarsi un “viaggio” quando chi parte sa che tornerà ma non sa con esattezza la data in cui farà ritorno ed il luogo da cui farà ritorno.
Dunque, quello che mi accingo a fare sarà il mio primo, vero, viaggio; di cui, spero, se vorrete, potrò comunicarvi qualche immagine, frammento, sensazione.
Ciao.
P.S.: nei precedenti paragrafi trovate alcuni piccoli scritti dal mio ultimo viaggio in India, già pubblicati su Facebook.
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