"VIAGGIATORE, NON C'E' UN SENTIERO.
I SENTIERI SI FANNO CAMMINANDO".

Antonio Machado, Poesias Completas

martedì 30 marzo 2010

CRONACHE INDIANE 2008 - PARTE II

14. THALI E QUALI

In Tamil Nadu anche in tema di ristorazione le cose vanno al contrario: i vegetariani gioiscono, i carnivori arrancano.

Non che la cosa mi dispiaccia, anzi, io stesso vegetariano lo sono stato, per qualche tempo.

In ogni caso, piaccia o non piaccia, tant’è. Mi spiego: la norma è che i ristoranti siano vegetariani; l’eccezione è costituita dai ristoranti “NON VEG”, cioè quelli che servono anche piatti a base di carne.

Fatta questa premessa, in realtà, la differenza non si percepisce un granché dato che, da queste parti, la carne non sembra essere carne, il pesce non sembra essere pesce e, poniamo, una melanzana non sembra essere… indovinate un po’… esatto, una melanzana.

Tutti i piatti, infatti, si presentano, invariabilmente, come un insieme di piccoli pezzi di carne e/o pesce e/o melanzane e/o meglio-non-porsi-domande immersi – Dio mio, vi giuro, letteralmente “immersi” – in un’implacabile, vasto, strabordante lago di una qualche detestabile salsa speziata.

Quanto ad approccio cromatico, uno spettacolo piacevolissimo, davvero: certi rossi, certi verdi. Quanto a sapore, roba da crimine contro l’umanità. E dato che non si tratta di tinteggiare casa ma di mangiarseli…
Ora, per essere del tutto onesto e non apparire eccessivamente melodrammatico, devo riconoscere che trovarseli in tavola (i suddetti manicaretti), che so, una volta all’anno, potrebbe anche risultare “esotico” e, insomma, ci “potrebbe stare”. Ma trovarseli in tavola tutti i giorni, festivi inclusi, a partire dalla colazione… può mettervi in seria difficoltà, credetemi.

Fissate il cameriere con occhi compassionevoli implorando un pollo “plain”, “simple”, “without any – I say any – sauce”. Lui, il cameriere, sorride comprensivo e fa partire il “metronomo” (v. un paio di post fa). Ha capito, Dio ti ringrazio, ha capito, habemus pollo. Ma poi il pollo – questo sconosciuto – arriva; invariabilmente, pervicacemente, sepolto sotto una colante montagna multicolore.

In questo quadro sconfortante, la mia salvezza è il thali.

Vado a pranzo nell’equivalente delle nostre trattorie – dove non trovo mai, dico mai, nessun turista o comunque occidentale – ed ordino un “meal”. In questo genere di trattorie non c’è il menù, perché non c’è scelta: si mangia il “meal”; ed il “meal” qui è il thali.

Dunque, immagino ora vi stiate chiedendo – a meno che non ne siate segreti estimatori – di cosa accidenti si tratti, insomma, cosa sia questo thali di cui vado parlando.

Eccovi.

Tavolo, in genere di marmo o simil-marmo o pietra.
Niente piatto, niente posate. Il “piatto” è costituito da una grande foglia di banano.
Un bicchiere in ferro pieno d’acqua (non fatelo; lo so fa caldo e siete molto assetati, ma ascoltatemi… non fatelo).
Vi sedete, vi posano sul tavolo foglia e bicchiere. Attendete.
Primo passaggio del cameriere: mestolata più o meno abbondante di riso bollito bianco sulla foglia.

Attendete, La montagna bianca fuma, adagiata sulla grande foglia verde.

Secondo passaggio del cameriere: le salse o “composte” di verdure miste “dense”. Una grande cucchiaiata per ciascuna; in genere sono quattro o cinque. Dunque, quattro o cinque piccole colline colorate, adagiate accanto alla grande montagna bianca e fumante.

Attendete.
Terzo passaggio del cameriere: le salse di verdure miste “liquide”, in piccole ciotole di ferro. Anche in questo caso, quattro o cinque, anch’esse posate sulla foglia, che si arricchisce di colori.

Ultimo passaggio: due focaccine, una croccante, una morbida.

Bene, ecco, questo è il thali.
Ora si tratta di mangiare. E, ditemi, il fatto che le posate non ci siano, cosa vi fa venire in mente?

Non è difficile, è sufficiente osservare che combinano gli altri commensali.
Il thali si mangia con la mano destra; si prende un poco – in quantità a piacimento – del misto di verdure denso, un poco di quello liquido, li si conducono, lungo la superficie della foglia, sino alle pendici della montagna bianca e lì si compone una sorta di variegata polpetta di riso. Polpetta dopo polpetta, gusterete il vostro onesto meal rigeneratore.

C’è comunque la possibilità – di cui personalmente mi sono sempre avvalso – di indulgere in qualche vezzo occidentale, del tipo usare una posata, un cucchiaio, anziché la mano destra (non mi soffermo sul motivo per cui la sinistra, beh, no, proprio non la si possa usare; so che siete giovani intuitivi). Insomma, chiedete e qualche arnese per la raccolta riso e salse vi verrà dato.

Il thali risulterà anche decisamente benefico per le vostre tasche di spiantati e – di conseguenza – parsimoniosi backpackers: il costo di un thali è variabile ma, giusto per darvi un’indicazione, tenete conto che in alcune “trattorie” mi è capitato di spendere tra i 50 ed i 75 centesimi di euro. Un prezzo ragionevole, che dite?

Uscite dal ristorante, riprendete a passeggiare nella calura pomeridiana, sostate all’ombra di un tempio a sorseggiare del chai bollente. La vita può essere davvero deliziosa.


15. ALL ALONE

Se viaggiate soli, probabilmente, non sarete mai soli ma, allo stesso tempo, sempre, intimamente, soli.

Avete ragione, l’affermazione merita qualche chiarimento.

Dunque, aspettate, una premessa. Sino all’anno scorso non avevo mai viaggiato solo. Mi era capitato di trovarmi solo in viaggio per brevissimi periodi, due o tre giorni, in attesa di amici che dovevano raggiungermi; nulla di più.

A ripensarci, ero sempre stato molto fortunato; di viaggi ne avevo già fatto un buon numero ed avevo sempre trovato accanto a me, nel corso degli anni, persone altrettanto appassionate con cui condividere il girovagare.

In realtà, per dirla tutta, viaggiare da soli mi appariva cosa piuttosto triste ed, in definitiva, un po’, come dire, da disadattati o, più semplicemente, da sfigati.

Soprattutto dicevo a me stesso: “che accidenti me ne farei in giro da solo? Santo cielo, sarebbe una noia mortale, nessuno con cui scambiare quattro chiacchiere. E poi, che so, cenare da soli e tutto il resto. Una tristezza infinita!”. In sintesi, la prospettiva di viaggiare solo non mi suscitava, come dire, “timori” ma, questo sì, la sensazione che si sarebbe rivelata un’esperienza irrimediabilmente noiosa.

Allo stesso tempo, però – curiosa la mente umana, non trovate? – l’idea del “viaggio in solitaria” mi affascinava moltissimo e mi ripromettevo, di volta in volta, di vincere gli indugi e provarci.

Infine, l’anno scorso, sempre qui in India (nel nord – lungo la strada dal Rajastan a Bombay) – dato che la mia compagna doveva rientrare in patria per riprendere il lavoro mentre io potevo trattenermi ancora un paio di settimane – ho sperimentato, per la prima volta, l’esperienza di un viaggio, un po’ più prolungato, solo.

Tralasciando i dettagli, perché non è dei dettagli che voglio parlare, ecco, di quei giorni di viaggio “solitario” ho conservato un ricordo intenso, vivissimo, elettrico. Soprattutto, un’inaspettata sensazione di leggerezza; più di ogni cosa, leggerezza. Beninteso, non che non fosse stato piacevole o mi fosse mai risultato in qualche modo “pesante” viaggiare in compagnia, al contrario, stavo benissimo. Ma si trattava di un sapore nuovo. La medesima sensazione che sono tornato a percepire in questi giorni.

Posso andare e posso sostare dove, come e quando voglio. La strada è mia ed ogni bivio è mio. La terra è mia.
Del resto, proprio il ricordo di quei giorni dell’estate scorsa ha fatto sì che quest’anno, malgrado tutto, desiderassi partire solo, come ho fatto.

Quanto all’incipit (l’affermazione sui viaggiatori solitari con cui ho aperto il post), ora, completata la premessa, vi spiego cosa intendo.

Mi riferisco, in particolare, alle persone - viaggiatori come voi o abitanti del luogo in cui vi trovate - che incontrerete durante il vostro “vagabonding”.

Dunque, con le persone con cui vi troverete incidentalmente a trascorrere parte del viaggio (quelle che non conoscevate in precedenza ed avrete incontrate “on the road”) potrà accadere che si stabilisca un rapporto di eccezionale intensità, spontaneità, condivisione. Potrà succedere che vi paia di conoscervi da una vita; quando magari avrete trascorso insieme solo pochi giorni. E l’uno/a dell’altro/a non conoscerete, in realtà, pressoché nulla. Vi confronterete sulle prossime tappe del viaggio, scambiandovi guide e appunti e mappe, ma, nel contempo, saprete che, prima delle vostre, rispettive, prossime tappe, le strade potrebbero essersi già divise. Perché, anzitutto, siete Viaggiatori e c’è un treno o un bus o un qualsiasi mezzo che vi aspetta e ci dovete salire (giusto?) anche se non sapete, in fondo, perché sia proprio quello. E perché il tempo vi morde ed avete una casa ed una gabbia di mondo a cui tornare. Ed a casa ci volete tornare con gli occhi grassi e sazi di tutto quel che ci avrete potuto mettere dentro, di tutte quelle persone e case e strade e tutto il resto e …

Uhi, scusate, troppa enfasi, quanta enfasi, davvero, perdonate, vado a farmi un roti (o un chapati), credo sia meglio, davvero, grazie, scusate. Ciao.


16. IMPRIMITI NELLA MEMORIA!

Quanto tempo dovrò restare ed osservare perché questi luoghi si imprimano nella memoria?
Passeggio per i templi di Kanchipuram, attraverso i cortili, mi siedo in prossimità delle scalinate. Osservo, molto, i particolari, delle persone e delle cose. Poi riprendo a camminare.
Quanto tempo perché non scolorino, non si sciolgano, nel fuoco della memoria?
Non ho vincoli, grazie a Shiva, nessun strombazzante autobus di odiosi tour all inclusive ingoia turisti ad attendere.
Sapete, potrei star qui seduto tutto il giorno ad osservare. Per la verità, potrei starmene qui tutto il santo giorno e tornare anche domani, ecco.
In definitiva, non mi risolvo ad andarmene perché mi prende il timore che non sia abbastanza e che dimenticherò e quel che non voglio è “dimenticare”.
Avete mai vissuto questa sensazione?
Potrei fare delle ottime fotografie, certo, ma non è questo che intendo, avete capito.
Si sta facendo buio e mi domando: quanto tempo dovrò restare ed osservare perché questi luoghi si imprimano davvero nella memoria?

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